Economia

Conti sballati e poca credibilità Il governo ci porta nel baratro

Il documento dell'esecutivo si regge su dati fragili: il Pil non cresce come stimato E l'abuso della flessibilità non aiuta. Così perderemo peso in Europa e sui mercati

Conti sballati e poca credibilità Il governo ci porta nel baratro

I Panama Papers hanno già fatto la loro prima vittima: il premier islandese. Ma ce ne potrebbe essere presto un'altra: l'Europa, passando per David Cameron.

Sono giorni in cui non si può aprire Twitter senza trovarsi sotto gli occhi l'hashtag #Cameronresign. E quest'onda negativa online preoccupa il premier inglese ancor più dei tradizionali tabloid, che sullo scandalo dei paradisi fiscali si sono schierati tutti, incredibilmente unanimi, contro di lui. Perché su Panama ha cambiato versione troppe volte, perché ha mentito al popolo della Regina e perché ha dichiarato sì che pubblicherà le sue dichiarazioni dei redditi, ma non prima della prossima settimana. Con calma.

Davvero non c'è nessuno a Downing Street che può fare quest'opera di trasparenza subito? O è un modo per prendere tempo e magari cambiare un'altra volta idea? Sempre su Twitter, poi, spopola un video di aprile 2014 in cui Cameron condannava duramente chi facesse ricorso a società off-shore per evadere il Fisco. Immaginate gli sberleffi.

Il 5 maggio in Gran Bretagna ci saranno le elezioni amministrative e il 23 giugno il pericolosissimo referendum sulla permanenza del Regno Unito in Europa. Cosa succede se davvero Cameron si dimette?

Il fronte del «Remain» (per rimanere nell'Unione europea) era partito super favorito, con un grande distacco rispetto al fronte del «Leave» (per l'uscita dall'Ue), ma gli ultimi attentati terroristici, per cui gli inglesi non si sentono sicuri in Europa, e tutto il tema immigrazione, che ha scatenato i più forti sentimenti nazionalistici in tutto il paese, a cui oggi si unisce lo scandalo di Panama, hanno ridotto fortemente questo margine: da 44 punti di distacco a favore del «Remain» a giugno 2015 si è passati a un margine di 26 punti a dicembre 2015, di 19 a gennaio 2016 e di solo 8 punti oggi.

Una rimonta inimmaginabile per il «Leave» che ha addirittura spinto il principale think tank anglosassone, Chatham House, a inviare a tutti i suoi iscritti una mail con oggetto:«Gran Bretagna più vicina all'uscita dall'Unione europea di quanto sembri. Non credete alla vulgata per cui il fronte del Leave è spaccato e quello del Remain ha motivi più solidi per convincere gli inglesi. Sta succedendo l'esatto contrario».

Tutto questo solo due giorni dopo il referendum con cui l'Olanda ha votato No all'accordo Ue-Ucraina. E tutto nello stesso giorno in cui il governo italiano approvava in Consiglio dei ministri il Documento di economia e finanza (Def), quello in cui si presentano i saldi di finanza pubblica e si illustrano le linee di politica economica del governo.

Vi chiederete cosa c'entri Renzi con Cameron e i suoi conti offshore. Lo spieghiamo subito.

Com'è sua cattiva consuetudine, il governo non ha approvato l'intero Def, che si compone di tre importanti e delicate Sezioni (1. Programma di stabilità dell'Italia; 2. Analisi e tendenze di finanza pubblica; 3. Programma Nazionale di Riforma Pnr), ma solo la premessa del ministro Padoan, costruita ad arte, e qualche numero risibile e improbabile su crescita, deficit e debito pubblico, anch'essi calcolati in modo da farli sembrare buoni e tale che siano utili al governo Renzi ai fini della sua narrazione, tralasciando quelli che davvero interessano, anche ai fini dei rapporti con l'Europa, come per esempio l'inflazione, o meglio la deflazione che sta affliggendo l'Italia e l'Europa.

Il Def di Renzi e Padoan, quindi, regge su basi evidentemente fragili e improbabili. Sarebbe un gioco da ragazzi argomentarlo. Come sparare sulla Croce Rossa.

La crescita reale del Pil italiano nel 2016, per esempio, che il governo colloca all'1,2%, nei fatti sarà al massimo dell'1%, come dicono tutti gli osservatori internazionali. Non finisce qui: se, sempre nel 2016, l'inflazione sarà, come dicono le stime, al massimo dello 0,2%, la crescita nominale del Pil, quella che conta ai fini del rispetto dei parametri europei, non supererà l'1,2%. Ma, ripetiamo: la crescita nominale, che comprende l'inflazione, e non quella reale, come sostiene il governo. Insomma, una crescita nominale attorno all'1,2%-1,3% e non l'ambizioso 2,6% indicato solo pochi mesi fa sempre da Renzi e dall'ineffabile Padoan. Il tutto senza una spiegazione, senza chiedere scusa a nessuno.

L'imbroglio è svelato, oltre che dai numeri, dall'atteggiamento di Renzi e Padoan venerdì in Consiglio dei ministri e in conferenza stampa: perché hanno omesso di rendere noto il dato sull'inflazione? Domanda retorica: evidentemente per non dare all'opinione pubblica gli strumenti per calcolare il dato sulla crescita nominale, che inchioda il governo al suo fallimento.

Poi c'è il tema del debito pubblico, che secondo l'esecutivo, grazie ai magheggi del ministro Padoan, comincerà finalmente a scendere, ma che, senza spending review, senza un piano di privatizzazioni credibile, senza crescita e con deficit in aumento, non potrà mai farlo.

Mentre stendiamo un velo pietoso sulla cosiddetta flessibilità: l'Italia, con il governo Renzi, la chiede per il terzo anno consecutivo, ma le regole europee consentono ai paesi di fare maggior deficit solo una volta e sulla base delle riforme effettuate, che nel nostro caso non solo non sono state ancora completate, ma anche la loro efficacia è tutta ancora da verificare. Su questo, valgono le parole di Mario Draghi: «Bisogna evitare che le regole di bilancio vengano tirate al punto tale da far perdere loro credibilità». Capito, Matteo? L'ingordo sei tu.

Ma non è il fatto che il Def non regge che collega Renzi a Cameron. Ce lo aspettavamo: che il presidente del Consiglio presenti dati che non rispondono alla realtà è ormai fatto noto, lo sa anche la Commissione europea. Al contrario, è l'atteggiamento del premier italiano nei confronti di quest'ultima, e dell'Europa in generale, che ci preoccupa oggi.

Scontato il rischio di Brexit e di implosione dell'Ue, Renzi vuole tentare il colpo grosso per vincere il referendum di ottobre sulla riforma costituzionale, approfittando proprio della debolezza mortale europea. Come? Con il suo solito trucchetto del taglio delle tasse in deficit. Questa volta secondo la formula scientifica «o la va o la spacca».

Pensavamo che, avendo grattato il fondo del barile e senza più soldi in cassa, il presidente del Consiglio si facesse un esame di coscienza e tornasse a una politica economica responsabile. Invece no: perché curarsi delle regole europee e del rispetto dei parametri quando tra pochi mesi l'Europa forse neanche ci sarà più? Allora fuoco alle polveri! Giù Ires e Irap senza neanche cercare la copertura. Porterà il rapporto deficit/Pil verso il 5%? Non importa, tanto l'Ue, indebolita come sarà, non potrà più aprir bocca.

Tanto il governo Renzi, ormai sfregiato dalle lobby e dai conflitti di interesse interni, è alla frutta. E il presidente del Consiglio (si fa per dire) disperato. Quindi tenta il tutto per tutto. Ma, obnubilato com'è, non considera che la vera sanzione per il suo comportamento verrà dai mercati. E saranno guai.

Riprendendo le parole di Draghi, già citate, l'abuso di «flessibilità», vale a dire una politica economica tutta in deficit, porta alla perdita di credibilità dei paesi che ne abusano. E la credibilità del sistema paese è quella che orienta le decisioni dei mercati e degli investitori internazionali, con le relative ricadute sull'economia reale e sull'assorbimento dei nostri titoli del debito pubblico (possibili nuove impennate dello spread).

Ma Renzi, com'è noto, non ascolta niente e nessuno e continua a giocare con il fuoco. Al governo di un paese con il debito pubblico tra i più alti dell'Eurozona (siamo secondi soltanto alla Grecia), con il deficit in aumento, una crescita del Pil non solo misera, ma anche drogata dalla politica monetaria per cui, come ha giustamente notato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, senza il Quantitative easing della Banca centrale europea saremmo ancora in recessione e deflazione, cosa pensa di fare?

Promette agli italiani tagli di tasse mai visti (in realtà nuovo deficit e nuovo debito) per vincere il referendum di ottobre, non andare a casa e mantenersi al potere. Cose da pazzi. Follia, azzardo. Che giudizio possono dare i mercati, dunque, di un'Italia governata in maniera così irresponsabile? Qualcuno dica a Renzi di smettere.

Prima che sia troppo tardi.

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