Il coraggio dell'elettricista-gondoliere

Marco, volontario a Venezia dopo un appello in rete: è già un eroe

Il coraggio dell'elettricista-gondoliere

Quando non ci saranno più parole per piangere Venezia serviranno gli elettricisti. Adesso c'è l'odore di muffa, l'acqua che ristagna, le pareti umide e il freddo che senti nelle ossa. Non ci sono luci da accendere. I negozi resteranno chiusi a lungo e gli appartamenti sospesi sulla laguna, gli unici che ti puoi permettere se il lavoro va a giornate o la pensione è misera, non puoi più chiamarli casa. Bisogna aspettare che tutto si asciughi e poi ricominciare. Allora servono gli elettricisti e quelli che rimettono in funzione le pompe idrauliche e quelli per far ripartire le caldaie e i frigoriferi. Non si torna alla normalità, a Venezia non esiste, ma si ricomincia.

Marco Donatelli Zamboni non sa quando sarà pronto il Mose e neppure se funziona davvero. Ha 35 anni e vive a Bussolengo. È terra di pesche, gelsi, bachi da seta e scarpe, da una parte c'è Verona e dall'altra il Lago di Garda. Quando da qui pensano a Venezia si chiedono se sia mai esistita. Per Marco infatti è un sogno. Marco non nasce gondoliere, si è accorto un giorno che non avrebbe potuto fare altro. Si è innamorato della gondola, non solo a toccarla, vederla, sentirla, ma proprio come idea. La gondola è un modo di guardare il mondo. Si è iscritto a un corso di «Venice on board» per imparare a vogare.

Su questo progetto ha investito. Si è comprato una gondola. Non l'ha messa in laguna, perché Venezia è un sogno ma non tutti possono viverci dentro, così si è messo a fare il gondoliere a Peschiera del Garda. Non è la stessa cosa, ma ci sono turisti anche lì.

Marco però a Venezia ci ha lasciato un pezzo di cuore. «Non è che posso salvarla io, ma ho pensato che qualcosa, di piccolo, di quotidiano, potevo fare. Uno fa poco, ma tanti magari possono dare una mano concreta». Ecco allora l'appello, smistato su tutte le reti, agli elettricisti del Veneto per aiutare Venezia. Poi venerdì ha preso il treno ed è partito. Altri lo hanno chiamato e faranno lo stesso. Quanti? «Quelli che hanno chiamato me sono una quindicina, ma so che molti sono in contatto con la protezione civile». I volontari non possono andare allo sbando. È la prima regola di ogni emergenza.

Marco non fa più l'elettricista, ma il mestiere lo conosce. Si è fatto dodici chilometri a piedi girando nelle calli. «Mi hanno chiamato persone anziane disperate, che volevano un aiuto per le cose più semplici. Qualche volta sono riuscito a fare qualcosa, altre ho dato solo consigli. A volte già ascoltare può rassicurare chi si sente smarrito, disperato».

Marco racconta la storia di una ragazza che tre mesi fa ha aperto un negozio di abbigliamento. Non ha ancora cominciato a pagare i debiti e ha perso tutto. Non sta però pensando di andarsene. La prima cosa che ha chiesto è come fare per riaccendere la luce. Non è razionale. È qualcosa di più. È non arrendersi, non scappare, non rinnegare Venezia, con la pazienza di Giobbe. Ripartire dalle mani. Come un atto d'amore. Come in una canzone di Paolo Conte: «E ti offro l'intelligenza degli elettricisti, cosi almeno un po' di luce avrà, la nostra stanza negli alberghi tristi, dove la notte calda ci scioglierà». Un gelato al limone.

C'è una foto che sta girando come un simbolo, come una stanca speranza.

È Marco Donatelli Zamboni che torna la sera a casa, addormentato sulla poltrona di un treno, in un vagone mezzo vuoto. «Non fatela sembrare speciale. Ce ne sono tanti come me». È solo un elettricista in gondola che sogna di illuminare Venezia.

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