Così l'erario strangola i negozi alimentari Uno su dieci rischia di morire di tributi

La denuncia di Fida-Confcommercio: «Se aumenta ancora l'Iva, chiudiamo»

Così l'erario strangola i negozi alimentari Uno su dieci rischia di morire di tributi

Roma. Più di un'impresa su dieci del commercio di alimentari non è riuscita a far fronte alla pressione fiscale nel secondo semestre 2016. È quanto emerso dalla presentazione dell'Osservatorio congiunturale di Fida, la federazione aderente a Confcommercio che rappresenta i dettaglianti alimentari (salumerie, rosticcerie, negozi, pastifici, ortofrutta e pescherie). Su un campione di 2mila aziende rappresentativo dell'intera popolazione nazionale il 12,4% ha denunciato l'impossibilità di saldare le proprie pendenze con il fisco. E anche se la stragrande maggioranza ce l'ha fatta (l'87%, ma in riduzione di due punti rispetto ai primi sei mesi dell'anno scorso), più di una su tre (il 35,4%) ci è riuscita con molta difficoltà. Si tratta in prevalenza di ditte con meno di dieci addetti situate al Sud e nel Nord Ovest.

Allo stesso tempo, tre imprese su quattro hanno definito «molto» o «abbastanza» elevato il costo degli adempimenti amministrativi legati al fisco. Non a caso l'ultima relazione sulla finanza pubblica della Corte dei Conti ha messo in evidenza come questi obblighi implichino la perdita di 269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto alle altre aziende europee. Un costo che i piccoli negozianti fanno fatica a sopportare e che si aggiunge al peso delle tasse. Non è un caso, perciò, che l'85% degli intervistati abbia dichiarato che considera aumentata la pressione fiscale nei due anni precedenti. Probabilmente è una percezione indotta proprio dall'oppressione burocratica in quanto nel periodo 2014-2016 in media lo stato ha continuato a prelevare circa i due terzi (64,8%) dei redditi prodotti dalle imprese industriali e dei servizi come quelle del commercio alimentare.

Ecco perché più della metà degli imprenditori (56%) ha manifestato preoccupazione per il futuro del paese, attanagliato nella morsa della pressione fiscale, degli obblighi amministrativi e di un credito erogato con il contagocce. Quasi un'impresa del dettaglio alimentare su quattro, infatti, ha fatto richiesta di un fido o di un finanziamento nello scorso semestre. Tra coloro che hanno inoltrato la domanda, solo il 38% si è visto accordare il credito che aveva chiesto. La capacità delle imprese del settore di far fronte al fabbisogno finanziario è rimasta sostanzialmente invariata, ma il trend per i prossimi mesi resta comunque nell'area di contrazione.

Queste problematiche sono ingigantite anche da uno scenario economico non facile. Da una parte i negozianti si confrontano con l'inflazione dei prezzi alla produzione, soprattutto dell'ortofrutta (incrementi a doppia cifra a causa delle gelate invernali), ma dall'altra parte devono cercare il più possibile di calmierare i prezzi di vendita a causa della stabilità dei redditi e della concorrenza della grande distribuzione.

«Ribadiamo ancora la necessità di lavorare sulla fiscalità generale, scongiurando definitivamente il rischio di un aumento dell'Iva che porterebbe a un effetto domino sui consumi», ha commentato Donatella Prampolini Manzini, presidente di Fida Confcommercio sottolineando che «i dettaglianti stanno facendo di tutto per utilizzare le giuste leve che consentano loro di rimanere sul mercato». Per sopravvivere.

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