Claudio Costamagna si autoelimina dalla riconferma al vertice della Cassa Depositi e Prestiti. La più importante tra le poltrone economiche in scadenza, insieme con quella dell'ad di Cassa oggi occupata da Fabio Gallia, è da oggi più che mai a disposizione del nuovo governo. Il vertice di Cdp dipende dal Ministero dell'Economia, quindi dal nuovo ministro Giovanni Tria. Ma in realtà se lo giocheranno Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti da una parte, Luigi Di Maio dall'altra, con la partecipazione di Giuseppe Guzzetti, il presidente di Cariplo e dell'Acri (anche lui in scadenza) che per le Fondazioni (azioniste di Cassa con il 18%) ha il potere statutario di nominare il presidente (mentre l'ad lo indica il Mef).
Costamagna ha ieri scritto una nota, diffondendola poi direttamente alle agenzie di stampa, senza che Cdp facesse un comunicato. Una forma irrituale che sembra sottolineare i problemi della «sede vacante» dei tradizionali referenti politici di Cassa. O forse è solo stata una scelta personale. Costamagna si è detto indisponibile a un secondo mandato (coinvolgendo anche Gallia), quando peraltro da più fonti e da tempo la sua conferma era considerata del tutto improbabile: troppo forte la sua vicinanza a Renzi, che lo aveva fortemente voluto per giocare alcune partite chiave, d'accordo con Guzzetti. Il quale, per il dividendo delle Fondazioni, si è portato a casa un rendimento straordinario grazie all'incremento del margine sul conto corrente di tesoreria (che remunera il risparmio postale) da 900 milioni del 2015 a 3 miliardi nel 2017 (in un periodo in cui i tassi d'interesse di mercato erano invece in discesa).
Ora in pole position per la presidenza c'è Massimo Tononi, ex banchiere anche lui come Costamagna, ma di diverso profilo istituzionale, che ha dato prova di grande affidabilità quando è stato alla presidenza di Mps. Tononi sarebbe la garanzia per le Fondazioni, ma rispetto a Costamagna sarà destinato a pesare meno rispetto all'ad. Sarà infatti questa la nomina determinante per Cassa nel prossimo triennio. E per la sua attività, che Lega e M5s vorrebbero utilizzare a sostegno dei loro programmi politici su tanti dossier: dall'Alitalia al rilancio del Mezzogiorno, avendo in testa un modello un po' Iri, un po' banca pubblica. Per la poltrona di ad circola il nome di Dario Scannapieco, che sta alla Bei, una banca europea con una missione molto simile alla Cdp. Come soluzione interna c'è l'ipotesi Fabrizio Palermo, il direttore finanziario, molto stimato e politicamente non compromesso.
Il punto è che i soldi della Cdp non sono dello Stato, ma dei risparmiatori postali: 250 miliardi. In altri termini la missione di essere un motore dell'economia del Paese, attraverso investimenti in partecipazioni e finanziamenti ad aziende sostanzialmente sane, non può essere stravolta. Pena gravi conseguenze: da un lato il rischio aiuti di Stato, che possono spingere la Ue a ricondurre Cdp all'interno del bilancio pubblico.
Se ciò avvenisse, tutte le quote di società pubbliche (da Eni a Poste, per citare le due maggiori) considerate privatizzazioni verrebbero riportate in capo al Mef, con un aggravio del debito pubblico nell'ordine di almeno 25 miliardi; dall'altro Cassa non può diventare una banca senza rientrare sotto la sorveglianza Bce. Con requisiti patrimoniali molto più severi.
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