Politica

Crisi e calo di consenso. Ma quando toccò a Letta Matteo lo fece dimettere

Le frasi spietate del leader Pd contro il predecessore che si trovava nelle stesse condizioni

Crisi e calo di consenso. Ma quando toccò a Letta Matteo lo fece dimettere

Roma - La politica è un boomerang. Tutto ciò che lanci ti torna, prima o poi, indietro. Ne sa qualcosa Matteo Renzi che quando era ancora sindaco di Firenze (ma già ben saldo sulla poltrona di segretario del Pd) ha lanciato un fuoco di fila di critiche al suo compagno di partito Enrico Letta, all'epoca presidente del Consiglio. Siamo nei movimentati primi giorni del 2014. Il governo guidato da Letta arranca, almeno secondo il primo cittadino di Firenze. Troppo lento nella sua politica di riforme costituzionali. Troppo lento, altresì, nel rilancio dell'economia e dell'occupazione. Eppure queste critiche oggi possono essere volte contro l'inquilino odierno di Palazzo Chigi, consapevole, peraltro, che la congiuntura economica internazionale è certo più favorevole adesso di due anni fa. Basti pensare, tra tante, alla cosiddetta legge sulle unioni civili. Già allora Renzi scalpitava per portarla al traguardo. Non voleva farne, così andava dicendo, un tormentone buono solo per le campagne elettorali. Eppure, dopo due anni di governo, quella legge non è ancora arrivata al voto, pur essendosi trasformata nel frattempo in un sfibrato tormentone giornalistico.Il governo Renzi, nato sotto la stella della rottamazione, votato a un drastico e immediato cambio di passo sul piano delle riforme costituzionali, si scopre senza fiato. Mostrando tutta la velleità di quanto stabilito e sancito proprio nella famosa direzione del Pd che giubilò definitivamente Letta. Il documento firmato dalla direzione del Pd del 13 febbraio del 2014 parlava della «necessità di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo che abbia la forza politica per affrontare i problemi del Paese», invitando peraltro gli organismi dirigenti appena legittimati dall'ultimo Congresso «ad assumersi tutte le responsabilità di fronte alla situazione che si è determinata per consentire all'Italia di affrontare la crisi istituzionale, sociale ed economica, portando a compimento il cammino delle riforme avviato con la legge elettorale e le proposte di riforma del Titolo V e la trasformazione del Senato e mettendo in campo un programma di riforme economiche e sociali necessarie alla promozione di sviluppo e lavoro». Tra le tante ragioni avanzate dall'allora antagonista Renzi c'era pure lo scarso apprezzamento, secondo i sondaggi, verso l'esecutivo Letta. «Il governo è al minimo storico di gradimento - tuonava, il 16 gennaio 2014, Renzi -, non è un dato che mi fa piacere. Il nostro problema è cercare di invertire la china».Oggi come allora il gradimento del governo è ai minimi. Sono lontani, insomma, i risultati ottenuti con le elezioni europee del 2014 quando il Pd ottenne il 40% dei consensi e quel risultato sembrò una sorta di plebiscito nei confronti del «cambio di passo» renziano. Ovviamente il colpo micidiale Renzi lo assesta nel corso di una telefonata dell'11 gennaio 2014 che raggiunge gli onori della cronaca soltanto un anno e mezzo dopo quando i giornali pubblicano lo stralcio di dialogo tra Renzi e il comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi (il cui telefono era sotto controllo, perché sotto indagine). Bisogna buttar giù tutto - confessa Renzi al telefono - perché Letta «è proprio un incapace».

Anche sulle qualità di alcuni suoi ministri aveva forti riserve arrivando a definire l'allora responsabile dell'Economia (Fabrizio Saccomanni) un «semplice guardiano del bidone».

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