Dopo la croce uncinata tracciata sul campo di Spalato

Dalla deriva nazista al piano di colpire i dirigenti che oggi guidano la federcalcio in una lotta senza esclusione di colpi tra i clan Mamic e Brbic. Le congetture del giorno dopo non cancellano un dato di fatto inequivocabile: la Croazia sportiva, e non solo, esce con le ossa rotte dalla svastica apparsa venerdì sera sul manto erboso dello stadio Poljud di Spalato in occasione della partita con gli azzurri. «Chiediamo scusa agli spettatori, agli ospiti arrivati dall'Italia e ai giocatori di entrambe le squadre, mi sento triste e scioccato», ha spiegato il presidente della federazione Davor Suker.

L'ex attaccante del Real Madrid parla di «quattro teppisti che verranno assicurati alla giustizia», anche se in realtà l'episodio è tutt'altro che circoscritto e finisce per sconfinare in una lunga serie di vicende dove lo sport e la politica si mescolano nei Balcani generando problemi spesso irrisolvibili. Dal drone albanese in Serbia alla Belgrado messa a ferro e fuoco ogni volta che Stella Rossa e Partizan si sfidano a pallone. Gli steccati etnici, sociali ed economici finiscono per riaccendere il fuoco di un odio storico mai del tutto sopito. Un aspetto per altro ricordato anche dalla presidentessa della repubblica Kolinda Grabar Kitarovic: «È innegabile che abbiamo un serio problema con gli hooligans il cui scopo è di screditare non solamente il calcio croato, ma anche l'intero Paese».

Resta il fatto che la svastica in Croazia non è il simbolo che rappresenta l'ultradestra. Se si fosse voluto davvero inneggiare al nazionalismo croato, la scelta logica sarebbe caduta sulla «U» di Ustascia e sullo slogan Za dom spremni , «sempre pronti per la Patria». I nazisti lasciarono un segno nella regione che va ben oltre la svastica, il terribile campo di concentramento di Jasenovac dove vennero uccise, o morirono per stenti e fame, oltre 100mila persone. Per queste ragioni la svastica raramente viene sdoganata tra i simboli dell'ultradestra croata.

Abbandonando le ipotesi di derive nazionaliste, in Croazia sarebbe in atto un vero e proprio regolamento di conti: da una parte la fronda filo-Spalato, guidata dal magnate Marin Brbic, dall'altra gli oligarchi di Zagabria, dirigenti della Dinamo come Zdravko Mamic (l'uomo che nel 2002 impose il mediocre fratello Zoran nella nazionale ai mondiali nippocoreani), personaggi che in barba al conflitto di interessi sono entrati nella stanza dei bottoni della federazione.

L'espulsione della Croazia dagli Europei del 2016 potrebbe essere stato a questo punto il fine ultimo di coloro che si sono presi la briga di organizzare e disegnare la svastica. Michel Platini, capo dell'Uefa, ha fatto sapere di attendere «i rapporti dell'arbitro e del delegato, prima di decidere l'apertura di un'inchiesta disciplinare». Le sanzioni partono dalla squalifica del campo alla sconfitta a tavolino, alla penalizzazione, fino all'esclusione dalle competizioni internazionali. Per danneggiare il clan Mamic e facilitare la scalata alla « Hrvatski Nogometni Savez » di Brbic e dei suoi amici.

«A me di questi giochetti interessa ben poco - tuona l'erculeo difensore Domagoj Vida - che si mettessero d'accordo, lasciando fuori il pallone. Mentre invece siam qui a dover quasi supplicare un atto di clemenza dell'Uefa».

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