U n Paese che si prende a martellate laddove non batte il sole solo per far dispetto a un leader politico che non attira le simpatie della classe dirigente? È l'Italia dell'antiberlusconismo militante, disposta a procurarsi un danno pur di allontanare il minimo sospetto che si sia potuto favorire in qualche modo il Cavaliere. Non è solo una questione politica, ma soprattutto economica perché il Paese ha rinunciato negli anni scorsi ad alcune riforme, ad alcune possibilità di sviluppo e anche a entrate fiscali di tutto rispetto in nome del «no a Berlusconi». E circa 2,2 miliardi di euro non sono bruscolini. Insomma, l'ondata di indignazione suscitata dall'Opas di Ei Towers nei confronti di Rai Way è solo l'ultimo capitolo di una battaglia che ha lasciato solo una vittima sul campo: l'Italia.
L'analisi non può non partire dalla riforma della giustizia tentata da Silvio Berlusconi sia nel periodo 2001-2006 che in quello 2008-2011. I capisaldi erano rappresentati da un accorciamento dei tempi della prescrizione, l'impossibilità per la pubblica accusa di ricorrere in appello ove le si fosse dato torto in primo grado, la responsabilità civile dei magistrati (in versione molto più hard di quella recentemente approvata) e la completa informatizzazione delle procedure. Una rivoluzione che, insieme alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, avrebbe di sicuro accelerato l'iter sia dei processi penali che di quelli civili assicurando tempi certi per la soddisfazione delle pretese di coloro che si affidano alla giustizia. I lettori del Giornale conoscono benissimo il boicottaggio di questi progetti realizzato sistematicamente sia all'interno che all'esterno delle coalizioni di maggioranza che sostenevano il Cavaliere.
Forse si conosce meno quale sia il risvolto pratico di quella pervicace opposizione dei giuristi da Palasport e dei no Cav in servizio permamente effettivo. Ebbene, l'Italia a fine ottobre 2013 aveva un debito di 387 milioni causato dalla legge Pinto, cioè dalla norma che consente a tutti coloro che hanno subito un processo troppo lungo di ottenere un risarcimento dallo Stato. L'Italia è così: ti tiene un decennio in sospeso nei tribunali e poi non ti indennizza nemmeno dopo anni e anni. Ecco perché molti investitori stranieri decidono di puntare altrove i loro capitali: sottoporsi alla roulette russa delle cause civili è un fattore di incertezza troppo elevato. Quanto ci guadagnerebbe il sistema-Italia con una giustizia da Paese «normale»? Un punto di Pil di investimenti, cioè circa 15 miliardi di euro in circolo in più.
Lo stesso discorso vale per lo scorporo della rete fissa di Telecom Italia. L'ex monopolista delle tlc è gravato da un debito monstre generato dall'Opa del 1999 (sponsorizzata dal governo di centrosinistra di allora) e, una volta terminato il lunghissimo programma di cessioni, per raddrizzarsi e poter investire ha bisogno di valorizzare il suo asset principale. Se ne parla da una decina d'anni (il governo Prodi aveva persino tentato un blitz statalista), ma puntualmente il discorso viene bloccato. Ufficialmente il motivo del diniego è la strategicità della rete (che con buona probabilità resterebbe italiana visto che il principale candidato è la Cassa Depositi e Prestiti), ma si tratta di un pretesto. La verità è che la Telecom senza rete sarebbe un partner ideale per Mediaset: un operatore tlc e un content provider che ha bisogno di veicolare le proprie produzioni. Risultato: si ritarda l'emersione della società della rete che vale almeno 10 miliardi di euro e circa un miliardo di euro di tasse. Si prevedono scintille anche quando Telecom provvederà allo spin-off delle torri di trasmissione stile Rai Way.
Ma questa è storia recente. Un'offerta da 1,2 miliardi che porterebbe allo Stato 851 milioni cash e il resto in azioni Ei Towers. Soldi che potrebbero servire per finanziare qualche provvedimento tipo la nuova indennità per chi perde il lavoro. Ma tant'è: per realizzare 2,2 miliardi lo Stato «renziano» ha preferito vendere il 5,47% di Enel e scendere al 25,5%, riducendo al minimo la presa su una società strategica per il Paese. Lo straniero, però, va sempre bene quando c'è di mezzo Berlusconi. Non passa giorno senza una lamentela degli intellettuali a lutto per la possibilità che Mondadori acquisisca Rcs Libri. Uno scandalo, signora mia! L'editoria in mano al Cavaliere oscurantista. L'antifascismo in gramaglie. Basta far due conti: i libri Rizzoli sono valutati tra i 100 e 150 milioni di euro. E in Italia c'è solo un possibile acquirente. Poi si può anche invocare lo straniero che, tuttavia, paga le tasse all'estero e non qui. Però non è Berlusconi...
di Gian Maria De Francesco
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