Accade. Accade che una ragazza con una storia fragile alle spalle si ritrovi in una ribalta planetaria di politica, pettegolezzi, processi. Accade che ne venga demolita. E accade che muoia, per caso, per natura, come normalmente si muore. Quella di Imane Fadil, bella ragazza marocchina, non è stata una vita normale. Ma la sua morte non è un giallo, non lo è più. Ci sono voluti mesi, ma la risposta è finalmente contenuta nelle carte che i consulenti della Procura di Milano hanno depositato al termine di un lungo lavoro, con le cautele dovute alla radioattività - che non c'era - e alle esigenze, che invece c'erano, di non lasciare nulla di inesplorato. La risposta dice che Imane Fadil non è stata assassinata. Sul tavolo del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano è arrivato il referto dell'equipe guidata dal più celebre dei medici legali italiani, Cristina Cattaneo: una Kay Scarpetta tricolore dall'autorevolezza inattaccabile. La Cattaneo e i suoi colleghi dicono che «non ci sono elementi a supporto di ipotesi di morte non naturale»: così alle 18 di ieri un lancio dell'Adnkronos chiude il giallo. Era, anche nella più spericolata delle ricostruzioni, un delitto senza movente: ammazzare Imane non aveva senso per nessuno, non serviva farla tacere perché sulle feste di Arcore aveva già detto tutto quello che sapeva e anche quello che non sapeva, come quando nella villa di Silvio Berlusconi raccontava di avere incontrato Satana. Eppure per oltre quattro mesi i retroscena più spericolati sul presunto assassinio della ragazza si sono affastellati senza posa. Ora il referto chiude tutto. «Lupus eritemato sistemico»: con questa diagnosi nella clinica Humanitas di Rozzano era stata catalogata la malattia della Fadil, ricoverata il 29 gennaio in condizioni già critiche e spirata l'1 marzo. È una malattia dai confini e dalle cause incerte, spesso confusa con altre. A lungo, la Procura ha tenuto aperta, insieme alla pista del delitto - e infatti l'inchiesta era ufficialmente aperta per omicidio volontario - anche l'ipotesi della colpa medica. Ora è possibile che anche questa sfumi, perché difficilmente si avrà mai la certezza che, anche se la patologia fosse stata individuata in anticipo, la giovane donna potesse venire salvata.
Rimane quella registrazione, che il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno sentito e risentito più volte: «Mi hanno avvelenata». È l'ultimo grido di dolore di Imane, quando i medici le spiegano che nel suo sangue ci sono metalli pesanti che non dovrebbero esserci. Non si saprà mai come li abbia assorbiti, negli ultimi difficili mesi della sua vita, nel vagabondare precario e sempre più marginale. Ma una cosa è certa: non è stato quel concentrato di metalli a causare la sua morte.
''Alla famiglia interessa sapere come è morta.
E allora se non c'è avvelenamento lo dicano ufficialmente, dicano come è morta, così almeno si potranno fare i funerali»: così Mirko Mazzali, legale di parte civile dei Fadil.È una morte che pesa. Ma è una morte senza colpevoli.
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