Anche l'ex ministro Angelino Alfano venne inconsapevolmente indotto «a riferire il falso su atti falsi»: è ciò che emerge dall'ennesima udienza sul caso della morte di Stefano Cucchi. Per il pm Giovanni Musarò l'attività di depistaggio è stata talmente profonda che «in questa vicenda si è giocata una partita truccata, con carte segnate. Una partita - ha detto il giudice - giocata sulle spalle di una famiglia: qui c'è in gioco la credibilità di un intero sistema».
I documenti parlano chiaro. Dopo un lancio dell'agenzia Ansa, il 26 ottobre del 2009, in cui si denunciava che Stefano Cucchi al momento dell'arresto non presentava ferite o segni sul volto, sarebbe iniziato il vero depistaggio.
Nel documento si legge che a partire da quella data iniziarono «a pullulare richieste di annotazioni su ordine della scala gerarchica dell'Arma, comprese quelle false e quelle dettate». Il pm si chiede: «Cosa successe quel giorno»? La risposta arriva diretta: «Il lancio di agenzia delle 15:38 scatena un putiferio. Dal Comando generale dell'Arma partono richieste urgentissime di chiarimenti. E tutte queste annotazioni non servivano al pm ma all'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano che avrebbe dovuto rispondere al question time alla Camera». Il politico, per assurdo e in maniera inconsapevole «si limitò a riferire il falso su atti falsi».
E nel corso del question time di fronte ai giudici della prima corte d'Assise, «disse che Cucchi era stato collaborativo al momento dell'arresto, omettendo ogni passaggio presso la compagnia Casilina e che era già in condizioni fisiche debilitate quando venne fermato».
Ecco il perché partì subito dopo una vera e propria difesa nei confronti dell'Arma che, sempre secondo il pm, «si traduce in una implicita accusa nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria». In quel preciso momento si procedeva per una denuncia contro ignoti, ma il 3 novembre, subito dopo che Alfano aveva finito di rispondere all'interrogazione, comparve «davanti ai magistrati il detenuto gambiano Samura Yaya che riferì di aver sentito nelle camere di sicurezza del tribunale una caduta di Cucchi».
In sostanza, i
carabinieri venivano esclusi da eventuali responsabilità, attribuite, invece, ai medici. Nessun collegamento tra le fratture, le botte, gli ematomi. Tutti innocenti, insomma, per una morte che ancora oggi ha dell'assurdo.
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