Dall'utilitaria agli anagrammi: tutti i segreti di "don Mario"

Il nuovo arcivescovo di Milano resta un prete umile Sa bene l'inglese: d'estate sostituiva i parroci all'estero

Dall'utilitaria agli anagrammi: tutti i segreti di "don Mario"

Il nuovo arcivescovo di Milano, Mario Delpini, non si è smentito neppure nel giorno del suo insediamento al posto del cardinale Scola: l'altro giorno è arrivato a Sant'Ambrogio alla guida della propria utilitaria come un prete qualsiasi. Del resto, lui è sempre stato un sacerdote po' atipico e anche per questo oltre che per l'ottimo rapporto che continua ad intrattenere con i preti milanesi - Papa Francesco l'ha voluto a tutti i costi alla guida della diocesi più grande del mondo: a quel che dicono in curia, la decisione era stata già presa da tempo.

È impossibile classificare l'arcivescovo nato a Gallarate 66 anni fa: chi lo conosce molto bene ce lo descrive come un uomo libero, autentico, che non ama mettersi in mostra. Rappresenta la continuità della Chiesa ambrosiana - perché succede a Martini, Tettamanzi e Scola dei quali è stato collaboratore strettissimo -, ma, al tempo stesso, è fuori dai consueti canoni ecclesiastici: l'originalità nel segno della continuità.

Un sacerdote, insomma, un po' controcorrente come dimostra questo piccolo episodio che un amico mi ha ricordato: quando venne ordinato vescovo in Duomo dal cardinale Tettamanzi, nel suo breve intervento al termine della cerimonia, il futuro pastore di Milano rammentò ai fedeli la raccomandazione, lui spesso un po' scarmigliato, che gli faceva sempre sua madre: «Pettinati prima di uscire di casa!». E, per quanto possibile, cercava d'obbedire. Sarà anche stato un po' spettinato, ma è anche vero che ha avuto sempre le idee chiare sulla sua missione.

La grande vocazione di Delpini è il seminario dove è stato per trent'anni, anche come rettore di quello milanese. Non tutti, però, sanno che l'altra passione del prelato è il giornalismo. Quando era ancora in seminario, scriveva rubriche destinate ai chierichetti firmandosi con un anagramma: don Mario Delpini diventava Pindaro Melodini e, per anni, fino all'estate scorsa, ha curato una rubrica sul settimanale diocesano «Milano sette» allegato ad Avvenire. A proposito di anagrammi del suo nome e del suo cognome, uno ad hoc è stato trovato da Stefano Bartezzaghi: i pré di Milano. Nomen omen.

Tutti lo descrivono come un uomo semplice, autentico, alla mano, ma Delpini è anche molto colto: conosce il greco antico e il latino. Parla perfettamente l'inglese (e non solo) per una ragione molto semplice: d'estate, per tre settimane, ha continuato a girare il mondo andando a sostituire il titolare di una parrocchia in qualche sperduta landa ed esercitandosi, così, nella lingua locale. Non ama le passerelle e, ai rapporti istituzionali lo ha fatto anche come vicario generale di Scola -, preferisce il contatto diretto con i fedeli cercando di affrontare, magari con la loro collaborazione, i tanti problemi, dall'emergenza-immigrazione ai rapporti con le altre chiese e alla povertà, che assillano una metropoli come Milano.

In tal senso, per certi versi, Delpini assomiglia al nuovo

arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, pure lui fortemente voluto da Papa Francesco. Saprà parlare a tutti, almeno lo speriamo, con un linguaggio semplice e accessibile, ma non per questo banale o povero di contenuti.

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