Il giorno dopo lo schiaffo dell'emendamento al ddl Anticorruzione bocciato dall'aula della Camera, il governo decide di schierarsi in forze e controllare minuziosamente i lavori parlamentari.
È il giorno del verdetto della Commissione europea e della severa bocciatura della manovra da parte di Bruxelles. Ma l'esecutivo più che sull'isolamento dettato dall'azzardo sulle scelte economiche si concentra sul provvedimento che contiene l'abolizione della prescrizione dopo il primo grado. Sui banchi dell'esecutivo si siede Giuseppe Conte. Con lui il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, vero titolare della materia trattata, e i leader politici, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
I due vicepremier non si limitato a presenziare, ma hanno continui contatti con i capigruppo e con le delegazioni parlamentari. L'obiettivo è azzerare i rischi di nuovi incidenti. Non è facile spazzare via il clima di sospetto calato tra gli alleati. Salvini a caldo, martedì sera, aveva detto: «L'unico risultato di questa votazione bislacca sarà l'accelerazione del ddl Anticorruzione». Ed è proprio questa la strada che alla fine viene perseguita.
La mattinata comincia con un vertice tra il vicepremier Di Maio e i due capigruppo di Senato e Camera, Stefano Patuanelli e Francesco D'Uva e prosegue con l'assemblea dei gruppi parlamentari. Nelle varie riunioni si studia la soluzione tecnica per uscire dall'impasse dopo che il governo è inciampato sull'emendamento che ammorbidisce il reato di abuso d'ufficio e di peculato. Alla fine Conte e i due vicepremier si vedono a Montecitorio. È il presidente del Consiglio a metterci la faccia: «Una soluzione è stata trovata: proseguiremo nella valutazione degli emendamenti, lo porteremo poi al Senato e risolveremo». In sostanza si renderà inevitabile una terza lettura ma «il risultato è che avevamo programmato di approvare il ddl per gennaio 2019 e lo approveremo per dicembre 2018».
Il passaggio al Senato, quindi, che inizierà il 10 dicembre per concludersi il 14 dicembre, riporterà il testo alla sua versione originaria. A quel punto sarà necessario un rapido passaggio alla Camera durante la sessione di bilancio per concludere l'iter. Una corsa a ritmi serrati, dando per scontato che a Palazzo Madama non ci sia alcuna battuta d'arresto. Nel corso della giornata, sul fronte dei Cinquestelle, c'era stato chi aveva provato a suggerire una forzatura. Ma dare una sbianchettata a un testo già approvato in aula sarebbe stato inaccettabile per il presidente della Camera.
La linea alla fine diventa quella di caricare al massimo il significato politico del provvedimento. «I voti segreti si faranno di fronte al governo», dice Di Maio al gruppo. E Salvini simbolicamente si trattiene a Montecitorio per tutta la giornata. Un big grillino sottolinea: «Salvini è la nostra garanzia: lui i patti li mantiene, il problema sono i suoi sul territorio che fanno pressing». La tensione con relativa bagarre esplode in aula quando il dem Emanuele Fiano ritiene di essere stato oggetto di un gesto scortese da parte del premier Conte. «Presidente Conte, era rivolto a me?». Poi, rivolto a Roberto Fico: «Ha fatto il gesto ci vediamo fuori.
Se lei fosse così cortese da sapere se con questo gesto si rivolgeva a me, le sarei grato». Poco dopo interviene anche Guido Crosetto di FdI che, non senza autoironia sul proprio fisico, aggiunge: «Io non aspetterò fuori nessuno, e mi auguro che nessuno mi aspetti...».
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