Il dilemma di SuperMario

Quando scocca l'ora degli irresponsabili, le percezioni si alterano: l'urgenza diventa ordinaria amministrazione, la drammaticità si stempera in folli giornate di ricreazione

Il premier Mario Draghi
Il premier Mario Draghi

Quando scocca l'ora degli irresponsabili, le percezioni si alterano: l'urgenza diventa ordinaria amministrazione, la drammaticità si stempera in folli giornate di ricreazione. Sembra passato un secolo dalle conferenze stampe notturne del premier Giuseppe Conte, in piena pandemia, che ingigantiva con verbosi monologhi l'angoscia degli italiani rinchiusi in casa. Eppure ora è lo stesso leader Cinque Stelle a giocare una disperata partita personale, votata alle rimozioni del contesto che ha portato al governo Draghi.

Il presidente del Consiglio assiste con flemma ai contorcimenti dei Cinque Stelle, l'anello debole e inaffidabile di una maggioranza sempre meno blindata e sempre più insofferente. Draghi non ama frasi apodittiche o sparate mediatiche, infatti medita e rimugina. L'ex presidente della Bce, il tecnocrate chiamato dai partiti più responsabili a commissariare una politica debole, appare allibito dinanzi al dilemma che gli pone indirettamente la sgangherata brigata grillina. Proseguire con un'agenda semi bellica oppure sfilarsi dinanzi a una compagine governativa differente da quella che giurò al Quirinale nel febbraio 2021.

In diciassette mesi il quadro interno ed internazionale resta esplosivo, al momento nessuno può formulare una di uscita dalla zona rossa tra guerra in Ucraina, la crisi energetica, il costo della vita che erode redditi e profitti sempre più magri, la coda di una pandemia che ci ha imbrigliato nell'incubo di un contagio sistematico. L'Italia sta percorrendo, come tanti Paesi, un tunnel buio di cui non si intravede l'uscita. Solo i Cinque Stelle, che sproloquiano di astensione e rimpasti di governo, si sono decisi per gretto calcolo politico a disconoscere le ragioni fondanti di un governo di emergenza basato sull'unità nazionale. Sono loro ad aver aperto una crepa, non tanto numerica visto il continuo calo del peso parlamentare, ma in termini di ridiscussione di un'alleanza più patriottica che politica. Nel momento in cui c'è maggiore bisogno di coesione nazionale, Conte e i suoi giapponesi nella giungla ragionano in termini di piccola tattica. La Russia ci taglia il gas e loro maledicono la scissione di Di Maio, Putin minaccia una scenario apocalittico e loro giocano a logorare il presidente del Consiglio su clientele elettorali come il reddito di cittadinanza.

Se lasceranno il governo, si troverà una via per rimediare ai danni inferti dalle politiche assistenzialiste imposte dalle visioni decadenti di Beppe Grillo. E se si ritornerà a votare prima del previsto, gli italiani avranno l'occasione per archiviare il vero populismo degli improvvisati al potere, quelli che non sanno distinguere una guerra da una bega di corridoio.

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