Valeria Robecco
New York L'uccisione del potente generale Qassem Soleimani, considerato il grande regista della struttura militare iraniana nella regione, rappresenta il punto più estremo della strategia dell'amministrazione di Donald Trump per il Medio Oriente, che vede in Teheran il nemico giurato e l'obiettivo da colpire, favorendo un cambiamento del regime. Non a caso l'ordine di procedere con il raid aereo è arrivato dal presidente Usa in persona, sulla base di informazioni che davano per imminenti azioni delle milizie filo-sciite in Iraq contro obiettivi americani. «Soleimani stava mettendo a punto attacchi contro diplomatici Usa e personale in servizio in Iraq e nell'area», ha spiegato il Pentagono confermando il blitz. «La decisione del presidente Trump ha salvato molte vite», ha detto da parte sua il segretario di Stato Mike Pompeo: con l'uccisione del generale «è stato sventato un imminente attacco», anche se gli Usa restano «impegnati nella de-escalation». Mentre il Commander in Chief, su Twitter, ha ricordato che Soleimani «ha ucciso o ferito gravemente migliaia di americani, stava complottando per ucciderne molti altri, e doveva essere fatto fuori molti anni fa». Inoltre, come riferito da tre funzionari della Difesa a Nbc News, gli Stati Uniti hanno deciso di inviare altri 3.500 soldati in Medio Oriente (in Iraq, Kuwait e altre parti della regione). L'ordine di eliminare Soleimani non è altro che l'espressione più dura della posizione trumpiana, visto che il generale era una figura di spicco, molto vicino alla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e considerato da alcuni il potenziale futuro leader del paese. L'attuale amministrazione Usa è sempre stata convinta che con Teheran sia stata adottata una linea troppo morbida, che ha permesso alla Repubblica Islamica di rafforzare la sua posizione nella regione. Per questo ha adottato la strategia della massima pressione - innanzitutto smontando l'accordo sul nucleare siglato nel 2015 - a cui l'Iran ha risposto con quella della massima resistenza. In questo quadro, come ha spiegato l'inviato di Trump per l'Iran, Brian Hook, gli Stati Uniti hanno reintrodotto la politica della deterrenza, principio che era stato abolito durante l'era Obama. A spingere Trump a dare il via libera al raid è stata la certezza che le milizie sciite filo-iraniane stessero preparando azioni offensive nei confronti di obiettivi americani. Ma non è un caso che l'ordine sia arrivato proprio all'inizio dell'anno elettorale. Entrati nel 2020, infatti, Trump deve portare risultati sostanziali non solo in politica interna, dove può contare in primis sui grandi successi dell'economia, ma anche in politica estera. Colpendo Soleimani ha colpito un simbolo, anche perchè l'assedio all'ambasciata di Baghdad ha ricordato quello del 1979, quando furono presi in ostaggio 52 membri dell'ambasciata Usa a Teheran, ancora oggi una ferita aperta per gli americani.
Per fare questo, The Donald ha bypassato il Congresso, mossa che ha già scatenato la reazione dei democratici e in particolare dei candidati alle primarie. Per l'ex vice presidente Joe Biden Trump ha gettato «dinamite in una polveriera», mentre per senatore Bernie Sanders un conflitto con l'Iran sarebbe peggio di quello con l'Iraq.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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