Svolta nel giallo di una donna morta a Govone, nelle Langhe cuneesi: a ucciderla non è stata la paura per aver sorpreso i ladri in casa e neppure un malore. Ad ammazzarla è stato il marito, che non sopportava più i suoi rimproveri per quella passione, ormai diventata vizio, per il gioco che rischiava di dilapidare i risparmi di una vita.
I carabinieri della compagnia di Alba - diretti dal comandante Giacomo Conte, che ha guidando l'inchiesta con il coordinamento della Procura di Asti - sono arrivati a questa conclusione dopo mesi di indagini. Roberta Perosino, 54 anni, dipendente dello stabilimento dolciario Ferrero di Alba, era stata trovata morta nella sua casa di Govone, in frazione Canove, la mattina del 26 giugno. Ed era stato proprio il marito, Arturo Moramarco, a dare l'allarme quando era rientrato in casa: «Mia moglie si è sentita male, forse ha sorpreso dei ladri», aveva detto agli inquirenti, gli stessi che ora lo accusano di averla uccisa.
Quando i carabinieri erano arrivati nella abitazione dei coniugi Moramarco, avevano trovato le finestre aperte e supposto che i presunti ladri, sorpresi dalla vittima, fossero scappati da lì. Troppe cose, però non tornavano nelle parole del marito e sulla scena del crimine: perché i malviventi non avevano portato via nulla? Possibile che in una frazione così piccola nessuno avesse sentito neppure un grido della povera Roberta? Ma soprattutto era la posizione nella quale gli investigatori avevano trovato il suo corpo che ha aumentato i dubbi nelle indagini. Dubbi che sono diventati certezza, grazie ai risultati dell'autopsia e alle immagini delle telecamere del paese che smentivano la versione del marito. L'esame autoptico ha appurato che la morte della donna è avvenuta per asfissia come conseguenza di un'azione violenta e che il corpo era stato spostato dopo la morte. Proprio come avevano intuito gli inquirenti fin dal primo sopralluogo.
Roberta Perosino e il marito Arturo Moramarco, almeno secondo le testimonianze di amici e parenti, non erano una coppia litigiosa e non c'erano particolari tensioni nel loro rapporto. A fornire il movente per il femminicidio, sono state le indagini di natura economica, ossia le spese che il marito aveva aumentato per far fronte - come poi è stato accertato - alla perdita di denaro al gioco. Da quando era andato in pensione, Arturo si rifugiava spesso in bar e sale giochi per sfidare la fortuna alle slot machine. Un vizio che lo aveva portato a sperperale in soli tre mesi 20mila euro. A riprova delle discussioni in corso tra i due, in casa è stato ritrovato un biglietto scritto dalla donna in un momento di rabbia ed indirizzato al marito, sul quale aveva scritto: «Non cercarmi da nessuna parte, non so quando torno e se tornerò».
Messo alle strette, difronte a
così tanti indizi contro di lui, Moramarco ha rilasciato agli inquirenti una piena confessione, ammettendo anche che a scatenare la sua furia omicida era stato l'ennesimo rimprovero della moglie per il suo vizio del gioco.
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