Doppia beffa dell'inflazione: è a zero ma tutto costa di più

I dati indicano che i prezzi sono fermi, in realtà non è così. Pesano produzione industriale, valore reale dei salari, tasse e disoccupazione: ecco perché l'economia non si riprende

Doppia beffa dell'inflazione: è a zero ma tutto costa di più

L'inflazione in Italia nel 2015, secondo le prime stime dell'Istat, è aumentata di un misero 0,1%, rattrappendosi dal già modesto +0,2% dell'anno precedente. Si tratta del livello più basso dal 1959, quando il Paese andò in deflazione (-0,4%).

Tutti coloro che sono nati prima del 1975 (anno che casualmente coincide con quello di nascita di Matteo Renzi) ricordano bene quanto l'incremento dei prezzi al consumo in doppia cifra rappresentasse un vero e proprio spauracchio per famiglie, imprese e mondo politico. L'inflazione, era la vulgata, è un mostro dagli occhi verdi che mangia redditi e profitti indebolendo le stesse fondamenta di un sistema economico. L'inflazione è il terrore di tutti i tedeschi (che ancor oggi cercano di piegare la Bce al contenimento della sua dinamica), ma anche di tutti gli esperti del settore, sia i rigorosi liberisti quanto gli «spendaccioni» keynesiani.

Ora, se l'inflazione italiana è allo 0,1%, dovremmo in qualche misura sentirci tranquillizzati. In teoria, ci dovrebbe essere una maggiore convenienza nell'acquistare i beni perché i prezzi sono fermi. Circa dieci milioni di italiani hanno ricevuto il bonus da 80 euro, l'occupazione è leggermente aumentata e dunque c'è un po' più di gente in grado di spendere. Perché, allora, le statistiche non mostrano un incremento dei consumi ben superiore agli zero virgola?

La ragione è nella stessa natura del tasso di inflazione che rappresenta una media ponderata delle variazioni di prezzo dei beni che costituiscono il famoso paniere Istat. L'«inflazione di fondo», quella che non considera alimentari freschi ed energetici, si mantiene al +0,7 per cento. Figurarsi cosa accadrà questo mese quando si cominceranno a scontare i rincari dei pedaggi autostradali (+0,8%) e dei biglietti ferroviari (+2,7%). Le statistiche sui prezzi al consumo funzionano come i polli di Trilussa: c'è chi non ne mangia, chi ne ha due e la media è sempre uno.I numeri, pertanto, sembrano non rispecchiare appieno la realtà di ogni giorno, quella di chi entra in un supermercato in cerca delle offerte speciali o aspetta i saldi per rinnovare il guardaroba.

I concetti stessi di «inflazione» o di «prodotto interno lordo» sono da mandare in soffitta, come qualche economista predica da tempo? La domanda non è solo per gli addetti ai lavori perché riguarda tutti noi. Il Bhutan, Paese poverissimo dell'Asia, ci ha provato con la felicità interna lorda che misura non solo i redditi, ma anche salute, istruzione e rapporti sociali. Questo indice in Italia non raggiungerebbe vette elevate, a dispetto dell'immarcescibile ottimismo del premier.In attesa che un esperto ci illumini con un nuovo modello matematico, non resta che guardare ai dati. L'inflazione è bassa anche perché la produzione industriale nei primi dieci mesi del 2015 ha recuperato solo l'1,1% dopo anni e anni di arretramento.

L'inflazione è bassa, nonostante le retribuzioni siano cresciute più dell'1%, perché il valore reale dei salari è fermo. L'inflazione è bassa perché le tasse nel 2015 han portato via il 43,7% del Pil mutilando la capacità di spesa.

L'inflazione è bassa perché il tasso di disoccupazione è all'11,5%, oltre il doppio del 1959 quando la deflazione fu causata dal rigore monetario e salariale dei governi centristi. I fattori sopra elencati ostacolano consumi e investimenti. Ma di sicuro Renzi saprà trovare una diversa misura del nostro benessere.

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