La doppia morale su Berlinguer

Enrico usato come testimonal del Sì, Bianca è da epurare

Pier Francesco Borgia

Roma C'è Berlinguer e Berlinguer. Non sono tutti uguali. Non sono tutti utili nello stesso modo. Autorevoli di sicuro entrambi. Ma a fasi alterne. Lo insegna la cronaca politica di questi ultimi mesi.

Da un lato c'è Enrico Berlinguer, campione del Pci che fu. Eroe dell'Eurocomunismo e della questione morale. E soprattutto - cosa più sapida in questo periodo di acceso dibattito sul referendum costituzionale prossimo venturo - testimonial d'eccezione per il fronte del Sì. Di quella parte, cioè, che vuole cambiare passo e rendere questo Paese, a sentir loro, più governabile. Dall'altro lato c'è Bianca Berlinguer, primogenita del successore di Luigi Longo alla guida di Botteghe Oscure, giornalista Rai da sette anni alla guida di quella che fu scherzosamente chiamata (ai tempi di Sandro Curzi) TeleKabul. Quest'ultima ha mandato più di un boccone di traverso all'inquilino di Palazzo Chigi negli ultimi anni. Tanto che c'è chi giura che dietro la scelta del vertice Rai di toglierle la guida del Tg3 ci sia proprio un'imbeccata renziana. Insomma c'è un Berlinguer da santificare e un'altra da giubilare. Sono le cose bizzarre che possono accadere in tempi di renzismo. Un tempo in cui alla primogenita di un leader politico di altri tempi tocca prendere carta e penna e scrivere un lungo sfogo (ospitato poi sul Corriere della Sera) in cui lamenta appunto l'indebita appropriazione da parte del Governo, del ministro Boschi e del giornale L'Unità (quello fondato da Gramsci) del «logo» Enrico Berlinguer per promuovere le ragioni del Sì al referendum costituzionale del prossimo autunno. «Berlinguer era per il monocameralismo», questo il titolo apparso su L'Unità, proprio non le è andato giù. Titolare in quel modo, scrive sul quotidiano di via Solferino «risulterebbe solo una forzatura strumentale».

In verità non è lo scatto d'orgoglio familiare ad aver indispettito Renzi. Ci vuol ben altro. La fonte del problema è altrove. La direzione di un Tg come quello del terzo canale Rai non può essere lasciata nelle mani di chi pervicacemente si ostina a dare voce alla minoranza Pd. Con tutto ciò che ne consegue. Va bene far parlare i grillini (d'altronde la par condicio esiste per questo), ma ostinarsi a dar voce alla fronda del Nazareno su temi scottanti come legge elettorale e referendum proprio non va. Insomma l'idea, fanno notare in tanti, è di normalizzare il Tg3 per normalizzare il Pd. D'altronde sono le idee espresse a gran voce da Michele Anzaldi, deputato piddino di stretta osservanza renziana. È membro della Commissione di vigilanza sulla Rai e da tempo fa le pulci (cronometro alla mano) ai servizi del Tg3. In un'intervista del dicembre scorso sul Fatto Anzaldi si domandava: «Il mio compito è denunciare lo squilibrio: perché il tempo concesso a Speranza dev'essere tolto a Renzi?».

Che si tratti di due esponenti dello stesso partito è un dettaglio irrilevante per Anzaldi che chiude con una speranza di altro tipo: «Se dipendesse da me, riterrei che la Berlinguer ha dato tanto, ma così tanto alla Rai che può anche bastare».

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