Il dramma di Atene è l'eterna disputa tra Platone e Pericle

La domanda è sempre la stessa e probabilmente è sbagliata. Chi deve comandare? Pericle o Platone, il capo carismatico, i filosofi o perfino il popolo? I sofisti che cercano di dimostrare l'impossibile o il demone socratico, quello che ogni individuo ha dentro di sé, come un tafano o un grillo parlante? I matematici di Pitagora che cercano un'equazione nell'universo o il navigare dolce di Democrito in questo mare infinito di (...)

(...) atomi? Cinici (e moralisti) o Epicurei (e individualisti). È qui, in questa Grecia bella e maledetta, che gli uomini hanno cominciato a interrogarsi sul senso del potere. Tutto torna. E tutto già è avvenuto. Tutto: Podemos, la casta di Bruxelles, la volontà di potenza della signora Merkel, la paura che le poche certezze cadano di nuovo per il gioco degli opposti egoismi. Il potere è un gioco barbaro e finora nessuno è riuscito davvero a domarlo. Neppure i greci, soprattutto i greci.

Atene inventa la democrazia. Ma Tucidide ci racconta che funziona bene quando c'è al potere un uomo carismatico, forte, che sa come governare senza clientele. È un caso abbastanza raro. Tucidide l'ha vissuto di persona, quell'uomo era Pericle. Non sempre un santo, ma uno che sapeva sognare in grande. Fosse vissuto in questi anni si sarebbe innamorato di Steve Jobs. Bisogna essere folli e conquistare con le navi dei mercanti il Mediterraneo. E pazienza se gli spartani si incavolano. La guerra del Peloponneso è lo scontro tra due idee di mondo. La libertà individuale contro l'eguaglianza. Tutte le riforme di Pericle sono il primo tentativo di vendere quello che poi, secoli e secoli dopo, sarà chiamato «sogno americano». Non importa da dove vieni, ma quello che sai fare. Tutti possono arrivare in alto, non per diritto ma per merito. Funzionò ad Atene? Un po'. Pericle smosse le certezze dell'aristocrazia, ma è gente che sa aspettare e poi i poveracci sempre poveracci sono. Morto Pericle Atene perse la rotta. Smarrita. Colpa della crisi, della paura, della povertà, colpa anche della forza di Sparta. Atene si ritrovò con i Trenta Tiranni e poi con un nuovo governo democratico di ex esiliati, così tolleranti da condannare a morte Socrate.

La democrazia di Pericle non piaceva a tutti. Platone per esempio ne parla parecchio male. Gli rimprovera di aver dato troppo spazio a gentaglia ignorante e di aver governato da populista. «Ha reso gli ateniesi peggiori di quello che erano». «Li ha corrotti, assecondandoli». Il guaio di Platone è che si nasconde sempre dietro Socrate. Lo fa parlare come un ventriloquo e soprattutto quando c'è di mezzo la politica ci mette dentro le sue idee personali. Socrate non ha scritto nulla e quindi nessuno può smentire Platone. Se Pericle è «il sogno americano», Platone è molto più «europeo». Il sospetto è che i tecnici dell'euro gli sarebbero piaciuti parecchio. È il governo dei filosofi, che sa dove corre la storia e conosce tutte le ricette per il bene comune. Il fallimento dell'Europa è il segno che Platone politico avesse torto marcio.

Come si vede quello che sta accadendo ad Atene è cosa antica. La democrazia non funziona quando non c'è un progetto, quando è solo burocrazia, quando non c'è sogno, quando a colpi di regolamenti si ha la presunzione di dare ordine all'universo. Quello che stiamo vivendo è un deragliamento della politica. È Aristotele che ti dice che la perversione della democrazia è la demagogia, quando la massa decide e i governanti non si assumono la responsabilità di una scelta. E la malattia dell'aristocrazia è l'oligarchia, quando non governano i migliori ma caste chiuse. Lo scontro Grecia-Europa è esattamente questo.

È bella l'orazione funebre di Pericle per ricordare le prime vittime della guerra del Peloponneso. «La nostra città è aperta al mondo. Noi non cacciamo mai uno straniero \. Noi siamo liberi di vivere come ci piace, e tuttavia siamo pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo \. Riconoscere la propria povertà non è disgrazia presso di noi, ma riteniamo deplorevole non fare alcun sforzo per evitarla. Un uomo che non si interessa dello stato non lo consideriamo innocuo ma inutile.

E benché soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla». Davvero allora la domanda è «chi deve comandare»?. No, la risposta che tutti stiamo cercando è un'altra. Come controllare chi comanda?

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