Il Duce amico dell'islam (persino nel cognome)

C'è stato un tempo in cui l'Italia poteva vantarsi di avere stretto intensi rapporti con il mondo di Maometto

Il Duce amico dell'islam (persino nel cognome)

Sotto i colpi dei micidiali attentati perpetrati dai terroristi dell'Isis, ora l'Europa intera, nonostante le parole del Papa, guarda all'Islam con sentimenti d'odio e di grandissima paura. Ma c'è stato un tempo in cui l'Italia poteva vantarsi, pur tra luci ed ombre, di avere stretto intensi rapporti con il mondo di Maometto. Un grande «feeling» che venne propiziato dall'affettuosa amicizia che il futuro duce intrattenne, quando era ancora direttore dell'Avanti!, con la giornalista Leda Rafanelli di fede musulmana. E che, poi, culminò con il matrimonio di Tripoli del 20 marzo 1937, testimone di nozze Italo Balbo, quando un impettito Mussolini, in sella a un magnifico puledro, sguainò la famosa spada dell'Islam ricevuta in dono dai berberi.

Quell'immagine è diventata il simbolo di un lungo corteggiamento nato nel 1919, prima ancora della Marcia su Roma, con la pace di Versailles alla fine della Prima guerra mondiale. Quella conferenza più che un trattato si rivelò, infatti, un vero e proprio «diktat» non solo per la Germania sconfitta, ma anche per l'Italia che, pure, quella guerra l'aveva vinta. A ispirare lo spirito di rivalsa nei confronti dell'asse franco-inglese era stato Gabriele D'Annunzio, il Vate della «vittoria mutilata» e il protagonista dell'impresa di Fiume, che mise il Belpaese sullo stesso piano del mondo arabo da sempre in conflitto con le potenze coloniali.

Pur con le dovute differenze, il nazionalismo che cominciava a serpeggiare in una parte dell'Europa era della stessa matrice di quello che già si respirava sulla «quarta sponda». Revanscisti gli uni, revanscisti gli altri, divenne quasi naturale cercare punti d'incontro. Se la conquista dell'Etiopia venne presentata - i due amici-nemici Mussolini e D'Annunzio in primis - come la guerra santa contro il Negus Hailé Selassié, nemico dichiarato dei musulmani, il «bel suol d'amore», Tripoli, diventò il terreno fertile per rinsaldare quell'intesa cordiale che oggi sembra davvero una grandissima utopia. Nel 1939, infatti, il governatore Balbo, nonostante i dissapori con il duce, fece ottenere la cittadinanza speciale italiana a tutti i libici islamici della costa, a differenza dei beduini e degli ebrei che restavano cittadini di serie B.

Ci furono, in quegli anni, tanti punti d'incontro: se già nel 1934 Radio Bari cominciò a trasmettere programmi in lingua araba perché la comunicazione era un pallino del duce, i rapporti commerciali con i Paesi dell'Islam divennero intensi tanto che lo Yemen dell'imam Yahyà si trasformò, di fatto, in un protettorato italiano. Parallelamente, dalle parti della Mezzaluna, si diffusero movimenti giovanili che guardavano al fascismo con particolare interesse, dalle Falangi Libanesi al Partito Giovane Egitto, dalle Camicie Verdi a quelle Azzurre. Anche allora, comunque, non tutti si trovarono d'accordo sull'innamoramento per gli «infedeli»: a parte il malumore di qualche alto prelato, è il caso di Leo Longanesi, romagnolo come Mussolini e amico della prim'ora, che, all'indomani dell'«incoronazione» del duce con la spada dell'Islam, sentenziò: «Sbagliando s'impera».

Eppure, piccola curiosità, il fatto che Benito fosse amico del mondo musulmano starebbe nel cognome stesso: secondo un'ipotesi , non del tutto infondata, Mussolini deriverebbe da muslimin, plurale di muslin che, in arabo, significa musulmano. Strani gli scherzi del destino...

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