«Il Duce non dà fastidio, resti pure dov'è»

Proteste per un busto commemorativo, ma il prefetto «salva» la statua

Simonetta Caminiti

Si fa fotografare sorridente di fianco alla sua scultura. L'espressione trionfale di chi difende un tesoro. Invece, quel busto in legno d'ulivo che raffigura il Duce, realizzata da Mario Cavazzi (70enne di Teglio, Valtellina), è comprensibilmente stata oggetto di polemiche e ha rischiato la rimozione. A insorgere, e avere la peggio, l'Anpi di Sondrio. «Il manufatto era stata la protesta del presidente dell'Anpi di Sondrio, Nella Credaro rappresenta una vera e propria glorificazione del capo di quel che fu il partito fascista, e confligge con la legge Scelba». Una legge che condanna ogni genere di attività di «esaltazione di esponenti, principi, fatti e meriti propri del predetto partito» o di «manifestazioni esteriori di carattere fascista».

Apologia di fascismo: questa la definizione ufficiale e più nota. Carattere curioso, però, ha avuto la motivazione con cui la Prefettura di Sondrio ha spiegato la legittimità di quel busto di legno incorniciato dai fiori. «Si comunica ha scritto al Comune di Teglio il viceprefetto Salvatore Angieri che è stato effettuato un sopralluogo dalla Polizia Stradale, con la collaborazione della Digos, dal quale non sono emerse violazioni di carattere amministrativo né situazioni di pericolo per la circolazione stradale». Com'è ragionevole pensare, non erano il traffico e la viabilità nei paraggi del bosco sulle Orobie, vicino alla località Caprinale, a essere disturbati dal proverbiale broncio del Duce, forgiato nel legno e con lo sguardo rivolto alla strada, imperturbato. Piuttosto, si trattava di discutere se quel busto fosse un ossequio al partito di Benito Mussolini. Questione neppure sfiorata, nelle motivazioni della Prefettura. Nella polemica sollevata da Anpi, l'apologia di fascismo era stata centrale: «È evidente aveva argomentato Nella Credaro che chi si richiama alla figura di Benito Mussolini per esaltarla, come in questo caso, si pone in contrasto con la legge». Lo scultore di Teglio, dal canto suo, difeso dall'avvocato Giuseppe Romualdi, gongola per la chance concessagli dalla Prefettura di conservare vicino casa il busto meditabondo del Duce. «Benito è risorto nella selva», è il suo commento, emblematico. Pensionato dopo una vita in miniera, in Svizzera, e poi in Turchia e in Siria per la realizzazione di una diga e di un porto, Cavazzi sembra non condividere neppure una piccola parte delle motivazioni dell'Anpi: «Chi vuole ammirare la statua del compianto Benito si legge sulle colonne de Il Giorno, e sono le parole di Cavazzi non ha problemi: accosta l'auto nella mia piazzola, scende e scatta le foto che vuole. Non comprendo tutto il cancan sollevato dall'Anpi. Il busto non crea alcun problema e serve rispetto per chi ha idee diverse. Ad esempio, non sono d'accordo con l'invasione dei migranti, la maggior parte dei quali finti richiedenti asilo, perché non fuggono da conflitti o torture.

Non sono contro a chi fugge davvero dalle guerre». La statua in pregiato legno d'ulivo, però, sorge su un terreno molto più minato e controverso di quel che, probabilmente, ne pensa il suo scultore. E la querelle, probabilmente, non è che al principio.

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