Via, se ne deve andare, lasci libera la poltrona. Per due italiani su tre Angelino Alfano, lambito dagli schizzi dell'inchiesta Labirinto, farebbe bene ad abbandonare il Viminale. Il sondaggio Agorà-Ixe non lascia dubbi: dopo le intercettazioni che coinvolgono il padre e il fratello del leader centrista in storie di raccomandazioni, il 63 per cento degli intervistati è favorevole alle dimissioni del ministro dell'Interno. Solo il trentuno pensa invece che dovrebbe restare al suo posto.
Cosa che avverrà. Confortato dagli avvocati, forte dall'inesistenza di profili penali delle rivelazioni, che lui definisce «scarti d'inchiesta», Alfano ha deciso di resistere. Certo, dal punto di vista politico la situazione è più pesante, ma anche qui nelle ultimi giorni qualcosa è cambiato. Innanzitutto il sostegno del Pd. Timido, quasi assente all'inizio, con il passare delle ore è diventato sempre più deciso. E dopo l'appoggio del capogruppo alla Camera Enzo Rosato, ecco le attese parole del vicesegretario del Nazareno Lorenzo Guerini: «Dimissioni? Le insistenze per la verità mi paiono molto flebili. Non c'è un'azione convinta da questo punto di vista, anche perché il ministro sta lavorando bene, non è assolutamente indagato nell'inchiesta romana, e se deciderà di intervenire in Parlamento sono certo che chiarirà ancora meglio la sua posizione».
Del resto la caduta del ministro dell'Interno avrebbe comportato l'automatica caduta di tutto il governo: Alfano, leader del secondo partito della coalizione e responsabile di un dicastero chiave come il Viminale, non può essere sostituto senza un passaggio formale al Quirinale e in Parlamento, come è accaduto con Lupi e la Giannini. E una crisi immediata non conviene né alle opposizioni né alla minoranza del Pd, che hanno puntato le fiches sulla roulette referendaria di ottobre, e che infatti sembrano aver rallentato.
A Palazzo Chigi sono quindi convinti che «la bolla si sta sgonfiando». E dopo giorni di apnea, Alfano ricomincia a respirare. Pure sul fronte interno le cose sembra si stiano mettendo meglio: la fronda sta rientrando. L'altra sera il ministro ha incontrato Renato Schifani, presidente del senatori Ncd e punto di riferimento di quanti lavorano per riallacciare i rapporti con Forza Italia, pronto, si raccontava, a creare un incidente parlamentare per mandare sotto Renzi. Il confronto è stato «aperto e franco», come si dice in gergo diplomatico. «Se vuoi fare il capogruppo - ha detto Angelino - non puoi sostenere una linea opposta rispetto alla mia, che sono il segretario». Alla fine della chiacchierata Schifani ha vergato il comunicato di sostegno incondizionato al governo. Per ora.
Non è ancora chiaro se tutti i frondisti faranno davvero marcia indietro. Secondo i calcoli di Palazzo Chigi, non saranno più di due o tre ad uscire, ai quali se ne possono aggiungere altrettanti di Ala, delusi perché rimasti senza poltrone. Al Nazareno considerano il caso «quasi» chiuso. «Dalle parole di Schifani - commenta Guerini - emerge che non c'è nessuna volontà di Ncd di cercare strade alternative. C'è la volontà di lavorare insieme per dare risposte agli italiani». Anzi, servirà un'altra «spinta riformatrice per la prossima legge di stabilità».
Molti senatori centristi sosterranno le ragioni del No al referendum, «Ncd - replica Guerini - ha lavorato in Parlamento per approvare queste riforme ed è presente nei comitati referendari. Dopodiché, se ci sono singole posizioni di dissenso non è un dramma, ma la linea del partito mi pare molto chiara».
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