E la paura di un nuovo stop economico rafforza il grande partito del non voto

Da Calenda a Confindustria, la crisi di governo sarebbe un disastro

E la paura di un nuovo stop economico rafforza il grande partito del non voto

Da momento più alto di espressione della sovranità popolare a ingombro del quale alcuni farebbero volentieri a meno. Ecco cosa sono diventate le elezioni politiche nel volgere di poche settimane. Anche il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, intervistato ieri da Repubblica s'è ufficialmente iscritto al partito del votare-il-più-tardi-possibile. «Le cose sono ben avviate, ma non affatto risolte», ha detto riferendosi al premier Gentiloni, cui ha riconosciuto efficacia nella gestione dei dossier banche e migranti. «Il rischio di trovarci di fronte a una prossima legislatura caotica esiste», ha aggiunto sottolineando, ora che «la politica ha rimesso le imprese al centro», la necessità per il nostro Paese di «un piano industriale».

Su questo atteggiamento, politicamente molto «sponsorizzato», pesano diversi fattori. Il primo dei quali è l'impasse sulla legge elettorale che rischia di restituire un Parlamento ingestibile vista la forza relativa nei sondaggi dei movimenti populisti (M5S in primis, ma anche Salvini viene guardato con sospetto). Non a caso il Quirinale ha mandato velati messaggi sulla necessità di porre rimedio. Dall'altro lato, i segnali di una ripresa un po' più consistente mal si conciliano con il profluvio delle promesse elettorali. Idem per il proposito renziano di alzare l'asticella del deficit/Pil. La prossima fine del Quantitative easing viene descritta come un'Apocalisse per lo spread.

La fazione del «non voto» conta molti iscritti. Oltre al capo dello Stato, si possono annoverare il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che sarebbe ben lieto di affrontare la sessione di bilancio senza il fiato sul collo di un Pd che soppesa le ricadute di ogni sua decisione. In particolare, sul blocco dell'aumento dell'età pensionabile che il titolare del Tesoro cerca di scongiurare. Ieri Maurizio Landini della Cgil ha annunciato una mobilitazione se non si interverrà sulla previdenza.

Fa parte del club anche Confindustria che da qualche tempo, attraverso Il Sole 24 Ore, ha iniziato a evidenziare come non vadano sottratte risorse destinate a imprese e lavoro, cioè al taglio del cuneo, per finanziare una maggiore spesa pensionistica. L'editoriale di domenica firmato da Sergio Fabbrini, docente di Scienze politiche dell'ateneo confindustriale Luiss, sosteneva che all'Italia «manca un sistema politico che garantisca continuità all'azione dei governi» e che ricostruire le vecchie coalizioni «vorrebbe dire condannarci all'instabilità».

Si fa strada - e non è un arcano - l'idea di sfruttare la durata della legislatura fino all'ultimo minuto utile e spostare l'appuntamento elettorale a tarda primavera. Le scuse all'uopo sono sempre pronte: le elezioni tedesche, la legge elettorale, la sessione di bilancio da affrontare con serietà «perché l'Europa ci guarda», la situazione geopolitica nonché varie ed eventuali.

Un simile atteggiamento mira a riproporre lo statu quo anche dopo

il voto depotenziando le ambizioni renziane e puntando al senso di responsabilità manifestato dal centrodestra. E la democrazia? E il voto dei cittadini? E il «chi prende un voto in più governa»? Un optional, più o meno.

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