«Nel 2054 il lavoro come lo conosciamo sarà scomparso». In fondo il M5S sta solo realizzando la profezia della Casaleggio Associati, e pure con largo anticipo. Il guru Gianroberto, e poi il guru ereditario Davide, hanno visto nella palla di cristallo un futuro in cui non lavorerà praticamente più nessuno, mentre chiunque avrà un reddito di cittadinanza garantito dallo Stato. I ministri 5s, con l'eredità di Di Maio allo Sviluppo Economico, il dicastero che guida i tavoli di crisi aziendali, stanno in effetti eseguendo con precisione scientifica il piano della «decrescita felice» teorizzato dai fondatori del Movimento, provocando la fuga a gambe levate delle aziende dall'Italia mentre un milione di persone incassa il reddito di cittadinanza senza muovere un dito. La catastrofe di Taranto e l'addio di ArcelorMittal portano la firma indelebile del Movimento Cinque Stelle. Se si vuole cercare un nome specifico è quello di Barbara Lezzi, ex ministro per il Sud, prima firmataria dell'emendamento che cancella le protezioni legali previste affinché l'azienda possa portare a termine il piano ambientale senza incorrere in conseguenze penali per eventuali reati ambientali compiuti dalla gestione precedente (cosa già successa «non solo ai manager, ma anche ad altri lavoratori che durante la gestione commissariale si sono visti arrivare avvisi di garanzia con l'avvio di procedimenti giudiziari anche se stavano operando per il piano ambientale» spiega ArcelorMittal). Proprio la rimozione di questo «scudo penale», fortemente voluta dal M5s, è indicata come la ragione per la rescissione del contratto. La Lezzi comunque sostiene che la città pugliese può trovare alternative all'industria siderurgica (2,2 miliardi di fatturato, 4,2 miliardi di investimenti già stanziati), per esempio l'allevamento delle cozze pelose, visto che Taranto «ha una lunga tradizione nell'attività di mitilicoltura, che non può essere dimenticata». Ma questa è stata sempre la linea di Di Maio: «Siamo per la chiusura, i lavoratori dell'Ilva respirano polveri che li fanno morire, non devono sottostare al ricatto lavorativo. Prendiamoli e riconvertiamoli a ecolavori per risollevare Taranto col turismo e l'agroalimentare» spiegava nel 2015, per poi rimangiarsi la chiusura da ministro e completarla ora con la fuga di Arcelor.
Decrescita, sparizione del lavoro (Di Maio vuole anche chiudere i negozi la domenica per legge), dogma ambientalista, manette e carcere per evasori fiscali e investitori internazionali. Il sabotaggio della Tav e del gasdotto Tap non è passato, mentre il M5s è riuscito a regalare alla Grecia lo sfruttamento di un giacimento di metano a largo della Puglia. Gli americani di Whirlpool hanno fatto le valigie annunciando la chiusura dallo stabilimento di Napoli (Di Maio aveva dato per fatto l'accordo), mentre le nuove «microtasse» fanno già danni: la International Tobacco Agency, sede a Treviso, ha appena comunicato di «non poter procedere» al piano di 140 assunzioni per l'impatto che la tassa su filtri e cartine avrà sul suo bilancio.
Sull'ex Ilva, il premier Conte ha convocato oggi alle 16 i vertici di ArcelorMittal. «Chiariremo bene la nostra posizione. La questione Ilva ha la massima priorità.
Faremo di tutto per tutelare investimenti produttivi, livelli occupazionali e per proseguire il piano ambientale» dice Conte, mentre l'opposizione chiede che venga a riferire al più presto in aula e Salvini lo definisce «il primo nemico del Sud, venga in aula o blocchiamo il Parlamento». La linea del governo, esposta dall'avvocato Conte e dal ministro M5s Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) è che «non esiste un diritto di recesso come strumentalmente scritto da ArcelorMittal».
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