Non sarà il riaffacciarsi dell'eterna opposizione tra Yin e Yang, eppure la «madre di tutte le battaglie» è di nuovo qui, forse pretende l'esito finale. La decisione che il nostro Paese squartato, indeciso, infiacchito deve pur prendere, dopo anni di miserevoli sotterfugi. «Nel governo siamo a una spaccatura senza precedenti tra la corrente europeista e quella degli euroscettici», brutalizzava l'azzurro Brunetta, annoverando tra i primi l'intera filiera da Conte a Tria, Moavero, Mattarella e su su fino a Draghi, presidente Bce. E tra i secondi Salvini e Di Maio, che «sembrano aver ritrovato su questo tema la sintonia politica, molto malvista a Bruxelles e dagli investitori internazionali». Non sarà certo un vertice serale tra vicepremier e premier (una «prima volta» storica, l'inversione così eclatante dei ruoli) a dirimere la questione. Però si potrà cominciare se non altro a capire la questione di fondo, diradando le nebbie su chi comandi davvero, e assegnando finalmente una gerarchia di valore alle due parole che rappresentano l'ultimo aggiornamento di senso. Perché la battaglia in atto potrebbe essere anche descritta come buonsenso (acme degli avvertimenti di Conte) contro orgoglio (Salvini ogni volta che parla della Ue). Contrapposizione di cui, parlandone da vivo, si sarebbe compiaciuto l'ex premier Renzi: «un derby tra buonsenso e orgoglio», avrebbe detto. Non sfugga però che il buonsenso è anche la diga dietro la quale, da anni, l'Italia svergognata dal proprio debito immane si rifugia. Subendo, per contrappasso, ogni infame decisione che proviene dal «club» dei (finto) virtuosi di Bruxelles. La seconda, l'orgoglio, risorge dall'oblio del tempo come sussulto di dignità, magari «irresponsabile», e che forse non ha neppure ragion d'essere, per come stanno le cose (e per come peggio potranno andare). Conte contro Salvini, dunque, in un impari braccio di ferro che si gioca sul filo del «mandato a dire», degli sguardi in cagnesco, dei penultimatum neppure presi in considerazione. Conte si preoccupa dei conti, della reazione dell'Europa che si abbatterà sui risparmi degli italiani: «Occhio a sfidare Bruxelles». Una linea di continuità che dal Quirinale custode di stabilità si dipana fino all'imbelle premier, al Giuseppe «senzaterra», voluto per contratto (oggi si comprende l'orrida superificialità della scelta). Salvini, dalla sua, ha tutto il resto, persino il buonsenso spicciolo dell'italiano impoverito (o forse imbruttito). Profluvio ininterrotto di messaggi: apparentemente concilianti sui minibot, «se ci sono alternative, sono felice», proprio mentre Di Battista «copriva» l'ormai domo Di Maio con il via libera dei 5stelle: «Ci sono nel contratto, Tria lo ha letto? A chi risponde, il ministro dell'Economia?». E messaggi soprattutto per l'indigeribile premier che ha osato evocare la soluzione finale, «occhio che andiamo tutti a casa, se Salvini vuole comandare vada alle elezioni». Salvini ha orgoglio e lo mette in mostra come se fosse a un tribunale Ue: «Non capisco le preoccupazione del premier o di altri. Io mantengo la parola, se lo fanno tutti, si va avanti. Non c'è alcun rischio per i risparmi degli italiani, l'unico rischio è un'altra manovra alla Monti.
Sono disponibile a ragionare sul salario minimo, ma il salario lo garantiscono le imprese: se non riduci il carico fiscale alle imprese, come fanno a garantire un salario minimo?... Se qualcuno pensa di stare al governo per tirarla in lungo o per crescere dello zero virgola. Non è quello di cui gli italiani hanno bisogno». Un'intimazione di sfratto, a meno che non prevalga il buonsenso.
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