N iente più soglie di tolleranza per il reato di falso in bilancio, ma solo un discrimine fra società quotate e non. È questa la principale novità introdotta dalla riformulazione dell'emendamento del governo al ddl anticorruzione, arenatosi in commissione Giustizia al Senato. E, nonostante i vertici di maggioranza, i tira-e-molla fra il ministro della Giustizia Orlando e il relatore Ncd D'Ascola, l'impasse ancora non si è sbloccato e l'approdo in Aula del testo potrebbe ulteriormente slittare giacché il nuovo testo dovrebbe essere presentato oggi, mentre il termine per i subemendamenti è stato prorogato a domani alle 14, quando il ddl avrebbe dovuto essere oggetto di discussione per tutti i senatori. Fino a ieri sera l'unico depositario del sacro Graal dell'emendamento era il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, vale a dire il premier Renzi.
Per analizzare quella che Lucio Malan (Fi) ha definito una «deriva forcaiola» bisogna distinguere tra due piani: uno tecnico e uno politico. Dal punto di vista «tecnico», gli amministratori di società quotate, che dovessero essere sospettate di aver «abbellito» il bilancio, rischiano una pena da 3 a 8 anni di reclusione. Per le aziende che non sono in Borsa la pena scende da un minimo di uno a un massimo di 5 anni, circostanza che esclude l'utilizzo delle intercettazioni ambientali per l'attività investigativa, essendo queste ultime consentite solo in presenza di reati che comportino una condanna superiore al lustro. Senza le soglie di tolleranza (quelle percentuali rispetto all'ammontare del fatturato espunte dalla delega fiscale o i 600mila euro di una versione precedente), i rischi di incorrere nei gironi infernali dei Tribunali sono elevatissimi perché ai pm è stata concessa la procedibilità d'ufficio, dunque saranno i magistrati a decidere di volta in volta, ferma restando la possibilità di querela sia da parte delle autorità investigative sia da parte di terzi.
L'unica via d'uscita è rappresentata dalle «condotte di particolare tenuità», ossia il magistrato, ha spiegato il ministro Andrea Orlando, potrà valutare «caso per caso» se il fatto commesso abbia un profilo di minore rilevanza penale. In quel caso, il massimo della pena dovrebbe essere ridotto a tre anni. In ogni caso, starà al buon cuore del giudice il destino di un'azienda.
Il punto di vista politico lo ha sintetizzato bene il Guardasigilli. «Abbiamo eliminato le soglie di non punibilità su cui c'erano delle critiche», ha detto alludendo al fuoco di sbarramento della sinistra Pd, eccitata dal sol pensiero che della norma potesse beneficiare il Cavaliere e irritata dalle flebili limitazioni poste allo strapotere dei pm. Il presidente della commissione Giustizia del Senato, Nitto Palma (Fi) ha sollevato il problema della legge Severino: con le nuove formulazioni l'interdizione dai pubblici uffici scatterebbe sempre o quasi, ma Orlando è contrario a una sua rivisitazione sia per tenere buona la sinistra interna sia per evitare che si pensi a un qualche salvataggio del «condannato-candidato» in Campania De Luca. Approvati due emendamenti dell'Ncd per inasprire le pene previste per la corruzione in atti giudiziari (salgono a 6-12 anni).
Per gli amministratori di società che non sono a Borsa scendono le pene: da un minimo di un anno a un massimo di 5. Escluso l'utilizzo di intercettazioni da parte dei pm
di Gian Maria De Francesco
Roma
Nella stesura definitiva non ci sono le percentuali sull'ammontare del
fatturato espunte dalla delega fiscale o i 600mila euro di cui si era discussoPer gli amministratori di società quotate in Borsa sorpresi ad «abbellire» il bilancio le pene salgono da 3 anni fino a un massimo di 8 di reclusione
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