A vederlo attraversare il centro di Roma sulla Lancia Flaminia presidenziale che saluta ali festanti di cittadini, non si direbbe proprio che quella appena conclusa sia stata la settimana più difficile della vita politica di Sergio Mattarella. Una settimana in cui ha dovuto dimostrare che tipo di presidente della Repubblica essere. Cosa che ha fatto riuscendo ad arrivare in porto dopo una traversata di 87 lunghi giorni, tra accelerazioni, frenate, tatticismi e una valanga di critiche (anche da questo giornale). Un successo per il capo dello Stato, che ieri ha festeggiato senza trionfalismi ma mostrando a più riprese un’espressione di evidente soddisfazione.
D’altra parte, a quasi tre mesi esatti dalle elezioni, Mattarella è riuscito a chiudere un puzzle nel quale tiene insieme quelle che a suo avviso erano le priorità della legislatura. In primo luogo farla andare avanti, evitando un ritorno alle urne che avrebbe esposto l’Italia all’ottovolante dei mercati, compromettendo ancora di più la nostra credibilità internazionale. In secondo luogo il Quirinale voleva dare il via ad un governo politico, sostenuto dalle due principali forze uscite vincitrici dalle elezioni dello scorso 4 marzo. Un esecutivo che nonostante sia un bicolore M5s-Lega vede comunque di molto smussate le sue posizioni euroscettiche, non tanto nelle dichiarazioni di queste ore (su tutte la rassicurazione del neoministro dell’Economia Giovanni Tria) quanto nella compagine di governo. Non solo a Palazzo Chigi, ma anche agli Esteri, alla Difesa e a via XX Settembre, Mattarella è infatti riuscito a far sì che non sedessero figure divisive o di rottura con i partner internazionali. Un risultato portato a casa dopo il braccio di ferro sul nome di Paolo Savona, alla fine dirottato al ministero delle Politiche Ue. Che, con buona pace di chi sostiene sia un posto chiave nell’interazione con Bruxelles, resta comunque un dicastero senza portafoglio e con competenze di risulta rispetto a quelle già in capo a presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e ministro dell’Economia.
Per Mattarella, dunque, una lunga partita a scacchi, giocata con la pazienza e l’imperturbabilità della vecchia sinistra democristiana. Fino all’eccesso, al punto da attirarsi critiche e dubbi legittimi. Tanto da mettersi nella rischiosa condizione di chi sul tavolo da poker decide per l’all in: vincere l’intero piatto oppure perdere tutto. Alla fine è andata bene. E sono dunque cadute le tante perplessità sulla gestione di una crisi che ha avuto un percorso più che accidentato. A partire alla decisione di investire tutto su Luigi Di Maio, fin da quando - ancora prima del voto - fu ricevuto sul Colle legittimando la carnevalata della presentazione della lista dei ministri (ad uso e consumo dei media). Il momento più difficile, di certo, è stato quello che ha seguito il veto su Savona, con il leader del M5s a chiedere l’impeachment del capo dello Stato con una violenza verbale che ha fatto temere il peggio. Anche qui, Mattarella ha scelto di pazientare e continuare a tessere la tela del dialogo, seppure sotterraneo.
E alla fine, complici anche i segnali preoccupanti che arrivavano dai mercati, è riuscito a convincere Di Maio e Matteo Salvini a chiudere l’accordo e dar vita al governo. Un esecutivo che soddisfa il Mattarella presidente della Repubblica, ma che probabilmente lascia invece molte perplessità nel Mattarella politico.
Non è un caso che ieri, terminata la festa del 2 giugno nei giardini del Quirinale, il capo dello Stato abbia deciso di sottrarsi al consueto saluto con i giornalisti. Le domande sarebbero state tutte sull’esecutivo, le risposte difficili e - forse - non consone ad un giorno di festa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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