Firenze dà l'ultimo saluto al "suo" Zeffirelli

Cerimonia solenne in Duomo, migliaia di persone in piazza per urlare «Ciao Franco»

Firenze dà l'ultimo saluto al "suo" Zeffirelli

A chi servono i funerali? Ai vivi, certamente. A quelli che hanno ancora il biglietto valido. E a che cosa servono? A cementare una comunità nel ricordo di chi ne ha fatto parte. Di questo riflettevamo mentre Firenze salutava ieri uno dei suoi figli maggiori, quel Franco Zeffirelli che tre quarti della sua vita li aveva trascorsi in qualche altrove e che alla sua città, alla fine, non era riuscito a dedicare un vero inno convincente, pur riuscendo a infilare la sua fiorentinità in ogni sua opera.

Bisogna essere particolari per essere universali, e Firenze ieri ha celebrato sé stessa e quella grandezza talora un po' affaticata, un po' inflaccidita, per tramite del suo figliolo più universale. Lo ha fatto nel suo teatro più grande, nel Duomo di Arnolfo di Cambio sormontato dalla magnificenza della cupola del Brunelleschi, uno scenario grandioso per chi da regista e da scenografo aveva sempre guardato più in alto che poteva, non accontentandosi di certe apnee da cinema ombelicale. Il feretro del grande fiorentino è entrato nel duomo una ventina di minuti prima delle undici, dopo un supplemento di camera ardente, dopo le 7mila testimonianze del lunedì e dopo una capatina in piazza San Firenze, dove sorge quella Fondazione Zeffirelli che, ora, tutti garantiscono di volere fare grande ma che, prima, qualcuno non ha mancato di intralciare. Ne è uscita, la stessa bara, un paio di ore dopo, per andare al cimitero delle Porte Sante, dove Zeffirelli riposerà con altri grandi fiorentini ultimo per tempo e per ordine alfabetico; con i figli adottivi Pippo e Luciano a piangere piano, devoti figli di un padre appena diventato un po' spirito, un po' santo.

Strana storia, questa. La riassume con il solito pragmatismo Gianni Letta, sottosegretario di un sacco di governi e presidente onorario della fondazione. «Chi lo conosceva - dice sul pulpito e poi ripete davanti ai telefonini dei giornalisti - sapeva che Franco Zeffirelli si portava dietro un cruccio, non sempre espresso: non riusciva a capire come in tutto il mondo fosse accolto e celebrato come un simbolo del genio italiano e come nel suo Paese, nella sua città, nella sua patria, non tutti avessero la forza di riconoscerlo e proclamarlo. Forse perché in passato lui aveva avuto qualche atteggiamento che poteva essere divisivo, forse perché aveva un carattere per cui diceva quello che pensava, come sempre dovrebbero fare i cittadini liberi e come sempre dovrebbero fare gli artisti». Pace fatta, dunque, con Firenze che si è tirata a lucido per Zeffirelli, e il sindaco Dario Nardella sereno e riconoscente, e la sua Fiorentina con Giancarlo Antognoni - regista per regista - e i figuranti della Firenze storica in abito bianco e rosso con gonfalone e la scorta d'onore di Parte Guelfa, quella Cavalleria repubblicana fiorentina cui proprio Nardella ha ridato lustro tornando a ristabilirla giuridicamente come confraternita nel 2015. Pace fatta, ma resta il senso di un riconoscimento tardivo, dell'ennesima dimostrazione che spesso deve sopraggiungere quella stronza della morte per rassettare il caos della vita.

È una bella cerimonia, però, di quelle che accontenterebbero quel solenne manierismo che era lo stile del maestro. Suona il Requiem di Mozart, Dal pulpito l'arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, ricorda come Zeffirelli avesse voluto incontrarlo quando fu ordinato vescovo della città, per accoglierlo «sotto lo sguardo di Maria». E torna sul difficile rapporto con la sua benedetta maledetta città: «Al Signore Gesù Franco Zeffirelli consegna anche la sua radicata fiorentinità. Solo chi è o diventa fiorentino può comprendere la grazia e il tormento di essere impregnato della storia grande e del carattere complesso di questa città. Tutto questo il maestro ha espresso in una vita che ha portato lui e le sue opere in tutti gli angoli del mondo, ma in cui egli si è sempre sentito figlio di questa città, ne è stato testimone del suo volto più bello e glorioso, quello rinascimentale».

Non c'è il premier Giuseppe Conte, il governo si affida al Ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli. Non c'è nemmeno Silvio Berlusconi, che di Zeffirelli fu ammiratore e leader politico degli anni il cui il fiorentino fu senatore di Forza Italia, malgrado la sua presenza fosse stata da qualcuno data per certa.

Ci sono politici, artisti (come le gemelle Kessler), ammiratori, fiorentini. Tutti sotto il sole chi in cravatta chi in t-shirt a salutare con un «ciao Franco!» quel fratello a cui in vita nessuno faceva mai una telefonata.

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