Tra «far pagare meno tasse è un dovere» e un generico «la flat tax si farà» il solco è molto ampio. Le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini nell'arco della giornata di eiri lasciano trasparire per intero la difficoltà incontrata dalla Lega nel far passare il proprio caposaldo. A fine serata il Capitano ha dovuto accontentarsi di una citazione della flat tax nel Programma nazionale di riforme senza ulteriori specifiche.
Era il massimo che si potesse ottenere visto che il ministro dell'Interno ha dovuto fronteggiare due avversari di peso. Da una parte il collega vicepremier Luigi Di Maio che anche ieri ha ribadito la propria ostilità. «Sulla flat tax c'è tutto il mio sostegno se rivolta non ai ricchi ma, come abbiamo chiesto, al ceto medio, alle famiglie, alle imprese: su questo mi faccio garante del suo inserimento nel Def e della sua prossima implementazione nei tempi previsti», ha ribadito. Nel comunicato finale del ministero dell'Economia si scopre che, per una volta, a vincere è stato l'insolito asse tra grillini e Via XX Settembre. «Il governo intende inoltre continuare il processo di riforma delle imposte sui redditi in chiave flat tax, andando ad incidere in particolare sull'imposizione a carico dei ceti medi».
Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, nel corso del Consiglio dei ministri ha fatto presente che la flat tax deve essere fatta con criteri precisi, ben definiti e circoscritti, altrimenti si bloccano le clausole per l'aumento dell'Iva: portare avanti entrambe le partire costerebbe 30-40 miliardi (23 miliardi di clausole e 12-15 per la tassa piatta). Tant'è vero che nell'ultima versione del Documento di economia a finanza non compaiono i due scaglioni al 15% e al 20% di aliquota fiscale unica prevista dal progetto di flat tax citati in una prima bozza circolata ieri.
In tutto questo, tuttavia, c'è un doppio bluff: la flat tax per i ceti medi in Italia è impensabile. Se si guarda all'imposta netta (cioè l'Irpef pagata dopo detrazioni e deduzioni) si scopre che fino a 26mila euro l'aliquota media massima è del 13,5% proprio per effetto dei 10 miliardi del bonus Renzi che «agiscono» proprio fino a quella soglia. Una flat tax al 15% nella fascia di reddito 26.000-50.000 euro costerebbe, invece, 40,5 miliardi di minori entrate con un beneficio di circa 5mila euro annui per circa 8,1 milioni di contribuenti. Se, però, si riducessero gli sconti fiscali sopra i 35mila euro, il rischio è che l'effetto del benefit diventi trascurabile per chi guadagna fino a 50mila euro e che attualmente è soggetto a un'aliquota media del 19-21 per cento. Con queste premesse è superfluo accennare all'ipotetico scaglione del 20 per cento.
Resta, tuttavia, da capire perché il ministero dell'Economia abbia aperto all'introduzione del salario minimo orario per i mestieri non coperti da contratto collettivo. Si tratta di una misura che va in direzione contraria allo sviluppo aumentando il costo del lavoro. Ma tant'è.
Altra difficoltà del governo sui rimborsi ai risparmiatori.
È slittato il provvedimento sugli indennizzi che, originariamente, avrebbe dovuto essere inserito nel dl Crescita. Si è tenuto solo un nuovo vertice tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i due vicepremier Di Maio e Salvini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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