La partita tra Stati Uniti e Cina si fa sempre più complicata, e nonostante gli auspici in senso contrario due dei capitoli principali della contesa globale tra i due Paesi la questione dei dazi e il caso Huawei rischiano di intrecciarsi pericolosamente tra di loro. Ieri il segretario di Stato americano al Tesoro Steve Mnuchin ha detto di aspettarsi «progressi significativi in settimana» durante le discussioni commerciali in programma a Washington con gli inviati di Pechino, e al tempo stesso ha assicurato che il caso Huawei non sarà trattato durante i colloqui. Anche il segretario al Commercio Wilbur Ross si è detto certo che i due temi saranno tenuti «completamente separati». Proprio nelle stesse ore, però, gli Stati Uniti avevano formalizzato ben 23 capi di imputazione nei confronti del colosso cinese delle telecomunicazioni, la cui numero due Meng Wanzhou (che è figlia del fondatore di Huawei, Ren Zhengfei) è stata arrestata lo scorso 1° dicembre a Vancouver su richiesta statunitense e poi rilasciata su cauzione con l'obbligo di risiedere in Canada in attesa del processo fissato per aprile.
Gli Stati Uniti hanno chiesto formalmente al Canada l'estradizione di Meng e tra le accuse ribadite ufficialmente ieri ve ne sono di molto gravi: le principali sono la violazione delle sanzioni che Washington ha imposto all'Iran (che secondo gli americani sarebbe stata perpetrata da due sussidiarie di Huawei aggirando il sistema bancario internazionale) e il furto di tecnologia compiuto ai danni del gruppo T-Mobile. Il colosso cinese con sede a Shenzhen ha respinto ieri con una propria nota ogni accusa a proprio carico e alla persona di Meng Wanzhou, dicendosi certo che «i tribunali statunitensi arriveranno alla fine alla stessa conclusione». Ma la reazione del ministero degli Esteri cinese è stata molto più dura e contiene a sua volta delle accuse nei confronti degli Stati Uniti: secondo Pechino, gli americani sono mossi da «una forte motivazione politica» e stanno attuando «una manipolazione» della realtà infliggendo a Huawei e ad altri gruppi cinesi un trattamento «irragionevole». Parole che sono il logico seguito di quelle pronunciate il giorno prima dall'ambasciatore cinese a Bruxelles Zhang Ming, che ha denunciato «calunnie e discriminazioni destinate a danneggiare le reti mobili 5G ad alta velocità europee».
Affermazioni che stridono con quelle del direttore dell'Fbi, Christopher Wray, secondo cui le accuse appena formalizzate contro il gigante cinese «mettono in luce le azioni persistenti e spudorate messe in atto da Huawei per sfruttare le società e le istituzioni finanziarie americane e per minacciare la
concorrenza mondiale libera ed equa». È peraltro noto che una legge voluta dallo stesso presidente Xi Jinping impone alle aziende cinesi all'estero di «sostenere il lavoro dell'intelligence nazionale», cioè di spiare per Pechino.
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