La genialata della Madia Ci regala 150mila statali pagati per non lavorare

Sono gli esuberi delle ex partecipate a spasso. Limati gli stipendi, persino quelli più bassi

La genialata della Madia Ci regala 150mila statali pagati per non lavorare

Essere pagati per non fare nulla. E non è la Rai. O, almeno, non sarà solo la Rai a essere caratterizzata da questo triste (per i denari dei contribuenti) andazzo.

Il decreto legislativo sulle partecipate pubbliche i prevede un taglio abbastanza cospicuo delle controllate dello Stato, incluse quelle di Comuni, Province e Regioni. Anche se l'obiettivo dell'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli non sarà mai raggiunto (portarle da 8mila a mille), il testo prevede l'eliminazione delle società con perdite superiori al 5% del fatturato, di quelle con fatturato inferiore al milione di euro negli ultimi tre esercizi (ma le Camere hanno chiesto di abbassarlo a 500mila e probabilmente saranno accontentate) e di quelle che perdono l'appalto garantitole dall'ente locale che le ha costituite (società in-house). Il decreto prevede che il primo taglio straordinario si compia entro febbraio 2017, mentre dal 2018 le procedure di liquidazione seguiranno un percorso standard.

Secondo il sindacato, il decreto applicativo della riforma Madia potrebbe determinare fino a 150mila esuberi. E non tutti potrebbero essere ricollocabili anche se il testo prevede blocchi del turn over fino al 30 giugno 2018 per assorbire in ambito regionale (in modo da non trasferire troppo lontani i dipendenti) le eccedenze. Nella seconda metà del 2017, invece, sarà l'agenzia nazionale per il lavoro (Anpal) a occuparsi di trovare un posto agli statali che non l'avranno più. Se, nel frattempo, il ministro Marianna Madia non avrà fatto approvare il Testo unico sul pubblico impiego che prevede salario all'80% per due anni e licenziamento se il dipendente in «disponibilità» non accetta il ricollocamento, gli esuberi delle partecipate rimasti a spasso saranno pagati per non lavorare. Con il referendum alle porte sarà difficile che la delega sul Testo unico, che scade a febbraio, possa essere esercitata a breve. E se l'esecutivo di Matteo Renzi dovesse cadere, l'eventuale successore difficilmente si assumerebbe l'onere.

Il decreto legislativo sulle partecipate, che diventerà legge dopo l'approvazione nel prossimo Consiglio dei ministri, contiene anche un'altra anomalia non meno bislacca: il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici. È previsto, infatti, che le spa e srl pubbliche siano classificate in cinque fasce. Nella più alta i manager non potranno avere retribuzioni superiori ai 240mila euro annui lordi. Nella più bassa, la quinta, si dovrebbe scendere a 120mila euro (anche se alcuni rumor riferiscono di 100mila euro). Al di là della scarsa qualità di manager che accettano paghe «basse» a fronte di rischi elevati (come la responsabilità penale e amministrativa), ci sarà un problema. I dirigenti potrebbero guadagnare più dell'amministratore delegato e dunque si dovrà tagliare lo stipendio anche a loro. Fin qui tutto regolare: il contratto lo consente. Ma anche ai quadri bisognerà limare la busta paga affinché non siano retribuiti più dei superiori e così a scendere fino ai dipendenti. Quand'anche il sindacato non bloccasse queste società con gli scioperi, ci penserebbe un qualunque magistrato a far rispettare i contratti. Che non consentono deroghe.

Oltretutto ci saranno «figli e figliastri»: le società quotate, quelle che si quoteranno (come di recente ha fatto Enav), quelle che emettono titoli quotati (come Rai) potranno superare il tetto. Chi lo stabilirà? Matteo Renzi.

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