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Da Gentiloni a Conte. Così abbiamo ceduto su sicurezza e diritti per fare affari con Xi

Prima intesa nel 2015 per i pattugliamenti congiunti. Il "protocollo rafforzato" nel 2017. E il ruolo di M5s negli accordi con Pechino

Da Gentiloni a Conte. Così abbiamo ceduto su sicurezza e diritti per fare affari con Xi

Sudditanza dei nostri governi o spregiudicata malafede dei cinesi? Il problema sollevato dalle inchieste di «Safeguard Defenders» sulla presenza in Italia di 11 centrali di polizia cinesi è tutto qui. Bisogna cioè capire se l'attività di quelle centrali, pronte persino a rapire i residenti cinesi, fosse a conoscenza dei nostri governi o se, invece, il loro lavoro si svolgesse dietro la cortina di intese apparentemente innocue, ma proficue. Nell'ambito di queste ipotesi i veri buchi neri sono due accordi firmati con Pechino. Il primo è il Memorandum sui «pattugliamenti congiunti» di polizia siglato a Pechino il 27 aprile 2015 dall'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e dall'omologo cinese Wang Y. Al centro di quel memorandum vi sono la lotta a terrorismo, criminalità organizzata, traffico di migranti e tratta di esseri umani.

La prima applicazione dell'accordo avviene, però, in campo turistico con la presenza di agenti cinesi in divisa nelle città d'arte italiane. «Per noi italiani il focus di quell'intesa - ricorda una fonte diplomatica italiana attiva a Pechino in quel periodo - era attirare più turisti cinesi per sviluppare un settore in cui ci sentivamo sopravanzati da Francia e altri paesi europei». Ma i cinesi ne hanno indebitamente approfittato? L'ex ministro Gentiloni interpellato da il Giornale suggerisce «di rivolgersi a Farnesina o Viminale». Stando a «Safeguard Defenders» le autorità cinesi sarebbero, invece, le prime a confermare che gli accordi sui pattugliamenti hanno «facilitato» l'apertura dei centri iniziata a Milano nel 2016. Dunque i primi responsabili della disinvoltura con cui abbiamo assecondato le esigenze repressive di Pechino sarebbero i governi a guida Pd pronti, dal 2014 in poi, ad accontentare ogni richiesta del Dragone in cambio di accordi economici e commerciali. Lo proverebbe il protocollo «rafforzato» firmato il 24 luglio del 2017 dall'allora sottosegretario agli interni Filippo Bubbico e da Xia Chongyuan, suo omologo al ministero per la Pubblica Sicurezza cinese. Di quell'accordo «rafforzato» non si conosce ancora oggi il testo. Fonti del Viminale fanno capire, ricordando un periodo segnato dalle stragi dell'Isis, che il «rafforzamento» riguarderebbe questioni legate al terrorismo. In particolare il rischio che i turisti cinesi finissero nel mirino dei fondamentalisti uiguri legati ad Al Qaida e Isis. Ma per altre fonti d'intelligence sentite da il Giornale quel rischio risultava «improbabile» e serviva piuttosto da scusa per coprire l'infiltrazione nel nostro paese della polizia cinese. Un'infiltrazione a cui i governi Pd avrebbero dovuto opporsi almeno nel nome dei diritti umani. La controparte di Bubbico guidava, infatti, un ministero della Pubblica Sicurezza responsabile, già allora, della deportazione della minoranza musulmana degli uiguri. L'indifferenza con cui i governi Pd guardano alla firma degli accordi sulla sicurezza non è diversa da quella con cui, negli stessi anni, assistono alla penetrazione cinese nell'economia italiana. Fra tutte spicca l'acquisto del 35% di Cdp Reti Spa, un'azienda del gruppo Cassa Depositi e Prestiti da cui dipendono investimenti strategici per lo sviluppo delle infrastrutture nei settori del gas e dell'energia elettrica. E nello stesso periodo assieme a Reti Cda finiscono in bocca al Dragone aziende storiche come le lavatrici Candy, le moto Benelli, le barche del gruppo Ferretti e le cucine Berloni. Un saccheggio davanti al quale i governi Pd non battono ciglio.

Non andrà certo meglio con il governo Conte 1 pronto persino a incrinare i rapporti storici con l'alleato Usa pur di garantirsi la firma del Memorandum sulla Via della Seta. Ma l'indifferenza non risparmia neppure alcuni ministri di un governo Draghi assai attento a limitare l'infiltrazione cinese nei settori dell'economia e della tecnologia.

Quando lo scorso settembre emergono le prove sull'attività a Prato di un centro della polizia cinese il Viminale, guidato da Luciana Lamorgese, è il primo a precisare che la centrale non desta «particolare preoccupazione».

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