Gibilterra, torna la lite tra Madrid e Londra May: sarà sempre nostra

L'Ue concede alla Spagna un diritto di veto nei negoziati sulla Rocca, inglese dal 1713

Gibilterra, torna la lite tra Madrid e Londra May: sarà sempre nostra

Puntuale come un orologio svizzero (e quindi extracomunitario) torna sul tavolo alla prima occasione utile per Madrid la plurisecolare questione di Gibilterra. Con il prossimo avvio dei negoziati tra Londra e Bruxelles per i termini del divorzio dall'Unione Europea, la Spagna si ritrova infatti tra le mani una carta molto preziosa da giocare: siccome le decisioni sulla Brexit devono essere ratificate da tutti i 27 Paesi membri superstiti della Ue, godrà di fatto di un diritto di veto da giocare contro Londra e potrà quindi usarlo per cercare di ottenere un recupero almeno parziale della sovranità sulla Rocca, perduta con il trattato di Utrecht che risale al remoto 1713 e la cui perfetta validità ancor oggi rende vana qualsiasi rivendicazione.

Questa situazione certamente spiacevole per i britannici è una delle dirette conseguenze dell'uscita del Regno Unito dall'Ue. Se infatti prima l'atteggiamento dell'Europa sulla questione di Gibilterra era - essendo Spagna e Regno Unito entrambi Paesi membri - essenzialmente neutrale, adesso tutto cambia: Londra diventa un soggetto esterno e quindi Bruxelles prende le parti di Madrid. La premier britannica se ne è dovuta rapidamente rendere conto già venerdì scorso, quando la segreteria generale del Consiglio Europeo ha inviato ai governi nazionali la bozza delle linee guida per i negoziati sulla Brexit con Londra: vi si leggeva esplicitamente che per quanto riguarda la questione di Gibilterra «dopo che il Regno Unito avrà lasciato l'Unione Europea, nessun accordo tra l'Ue e la Gran Bretagna si potrà applicare al territorio di Gibilterra senza un accordo tra il Regno di Spagna e il Regno Unito»: diritto di veto per Madrid, in sostanza.

I primi a prendere male la novità sono stati i 30mila residenti della Rocca, che notoriamente sono felicissimi di essere sudditi britannici e lo hanno chiaramente espresso in due referendum, uno del 1967 quando in Spagna vigeva ancora la dittatura franchista, e uno più recente del 2002. Fabian Picardo, primo ministro di Gibilterra, ha reagito sabato scorso con un comunicato in cui definisce «predatorio» l'atteggiamento di Madrid e assicura che «il futuro di Gibilterra verrà determinato SOLO dal popolo di Gibilterra».

Picardo, in verità, osserva anche che i suoi concittadini avevano cercato di impedire - votando in massa contro la Brexit - la «prevedibile macchinazione spagnola»: una sottolineatura dell'accusa già mossa da altri alla May di non aver citato esplicitamente Gibilterra nella lettera d'intenti inviata a Bruxelles lo scorso 29 marzo. Ma gli elettori britannici nel loro insieme hanno deciso diversamente il 23 giugno 2016, e così oggi al governo di Londra non rimane che confrontarsi con la determinazione dell'ex partner europeo di Madrid.

Ieri Picardo è stato ricevuto a Downing Street da Theresa May, che gli ha ribadito di sentirsi «assolutamente impegnata in appoggio a Gibilterra, al suo popolo e alla sua economia». «Non acconsentiremo mai - ha aggiunto la premier - a disposizioni secondo cui il popolo di Gibilterra veda trasferita la sovranità a un altro Stato contro la sua volontà espressa in modo libero e democratico, né saremo mai coinvolti in un processo di negoziazione della sovranità di cui Gibilterra non sia soddisfatta».

Tutto molto chiaro, ma cosa dice Madrid? Per ora usa toni morbidi e assicura di non voler bloccare il confine di terra con la Rocca, dove

ogni giorno si recano a lavorare diecimila frontalieri spagnoli. Poi però chiarisce che non si opporrebbe a un'eventuale domanda di una Scozia indipendente di entrare nell'Ue. Una manita sul viso già tirato di Theresa May.

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