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Giorgetti: "Pil ok, ora serve uno scatto"

Ma Confindustria è prudente per le incognite Suez e petrolio. I sindacati lanciano l'allarme salari

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«La nostra economia è cresciuta anche nel 2023, sebbene in ritmo inferiore e mostra una discreta vitalità» e «rafforzare questi elementi di crescita è necessario anche nel prossimo futuro per affrontare con maggiore fiducia lo scenario di incertezze internazionali e sostenere i segnali positivi del mercato del lavoro». Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri ha parlato così agli allievi ufficiali della Guardia di finanza dell'Accademia di Bergamo, dispensando un po' di ottimismo sull'evoluzione del quadro macroeconomico.

Per quanto i due eventi siano stati contemporanei, le parole del titolare del Tesoro sono suonate come una replica alle esitazioni del Centro studi di Confindustria (CsC) che, invece, nella consueta Congiuntura flash ha messo in evidenza che il 2024 parte col freno a mano tirato sul fronte della crescita.

Insomma, a Viale dell'Astronomia vedono «un Pil debole nel primo trimestre» anche se «l'economia italiana è sostenuta da inflazione bassa, fiducia delle famiglie in aumento e servizi in crescita, mentre l'industria sembra stabilizzarsi». L'analisi è influenzata dai fattori negativi: il freno ai flussi commerciali nel canale di Suez, i rincari del petrolio e il rinvio del taglio dei tassi che penalizza il credito alle imprese.

Giorgetti, però, non si è fatto intimidire da queste annotazioni e ha sottolineato che è importante «avere un fisco più equo, efficiente e meno gravoso per imprese e cittadini, favorendo occupazione e investimenti», il tutto « nel rispetto dei conti pubblici». Anche il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha rimarcato che le prospettive non sono negative. L'analisi del Centro studi di Confindustria, ha commentato, «indica il percorso positivo del sistema produttivo italiano che troverà nuove significative conferme nel corso dei prossimi mesi».

Presente a Bergamo anche il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, che è tornato sulle prossime mosse in materia di riforma fiscale. «Il passo ulteriore - ha spiegato - sarà per venire incontro al ceto medio. Ma per farlo dobbiamo trovare le risorse e bisogna essere prudenti visti gli appuntamenti europei». Un chiaro riferimento al ritorno in vigore del Patto di stabilità. «Per le aliquote Irpef - ha ricordato - noi un primo passo serio l'abbiamo già fatto, passando da quattro a tre e venendo incontro alle fasce medio-basse». L'obiettivo del governo, pertanto, è trovare le risorse, a partire dal concordato preventivo biennale e «ciò che verrà fuori potrà essere messo a servizio di un vantaggio per il ceto medio», ha specificato Leo. «Questa - ha concluso - è la strada su cui muoversi: entro il 15 giugno sarà messo a disposizione dei contribuenti un software e il 15 ottobre si potranno dare le adesioni. Se emergerà un surplus interessante, potrà essere messo a disposizione della riduzione delle aliquote per il ceto medio già dal 2025».

Il problema che resta sullo sfondo è l'attenzione reclamata dai ceti medio-bassi che nella Cgil hanno trovato un megafono. «In Italia - ha rimarcato l'Ufficio economia dell'area Politiche per lo sviluppo - 5,7 milioni di dipendenti guadagnano in media meno di 11mila euro lordi annui». Nel 2022 il salario medio in Italia si sia attestato a 31,5 mila euro lordi annui, un livello nettamente più basso rispetto a quelli tedesco (45.500 euro) e francese (41.

700 euro).

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