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Il giro di vite di Erdogan: stato d'emergenza, diritti sospesi e censura

Il presidente dileggia la Francia: pensi agli affari suoi, se vuole lezioni di democrazia siamo pronti

Luciano Gulli

A golpe, un golpe e mezzo. E visto che lo stato d'emergenza sembra misura troppo blanda, ecco anche la sospensione della Convenzione europea sui diritti umani. Così, se ci si passa la battuta sul golpe e mezzo, si potrebbe parafrasare la reazione cingolata di Herr Erdogan (una sforbiciata laterale ai baffetti e la somiglianza al suo idolo migliorerà) al tentativo di putsch messo in atto venerdì scorso da una sbalestrata fazione di militari. (Ma in modo così balordo, così avventurato, che si stenta ancora a credere alla sua autenticità, trattandosi pur sempre di militari che passano per essere i migliori, i più preparati, i più tosti della Nato).

Sei giorni dopo la convulsa notte del golpe abortito, Erdogan dunque serra ancor più strettamente il bavaglio sulla bocca dell'opposizione mettendo l'intero Paese «sotto tutela». Assieme alla proclamazione dello stato d'emergenza, subito in vigore, la Turchia sospenderà la Convenzione europea sui diritti umani, ha annunciato il vicepremier e portavoce del governo Numan Kurtulmus. «D'altronde, se lo ha fatto la Francia...», ha aggiunto con un sorriso tra lo sprezzante e il beffardo rivolto al titolare dell'Eliseo. Un modo per rinfocolare la polemica con Parigi avviata dallo stesso Erdogan durante il suo discorso di mercoledì sera, quando paragonò lo stato d'emergenza deciso per la Turchia, all'analoga misura adottata in Francia dopo gli attentati terroristici. È la stessa burbanza ostentata dal presidente Erdogan che ha poi messo sull'attenti anche il ministro degli Esteri francese Ayrault, colpevole di aver dichiarato che il presidente turco «non può credere di avere carta bianca nel fare ciò che vuole dei golpisti». «Pensi agli affari suoi - la risentita replica in tv del Sultano -. E se vuole una lezione di democrazia siamo pronti a dargliela».

Manca, al momento, la notizia che presto in Turchia verrà adottato il coprifuoco (il vicepremier Kurtulmus, bontà sua, al momento lo esclude) e che si procederà alacremente alla costruzione nelle regioni più impervie dell'Anatolia di alcuni simpatici lager dove rinchiudere chi la pensa diversamente. Per il resto, il regime liberticida di Ankara, che già si era segnalato al mondo intero per la sua vocazione a schiaffare in carcere i giornalisti non «allineati e coperti», sta facendo del suo meglio per normalizzare un Paese che ancora si pensa, chissà perché, «europeo». Per chiudere il cerchio, mancava solo l'annuncio della sospensione della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, un caposaldo della democrazia e della convivenza civile.

Con lo stato d'emergenza, che non deve superare i sei mesi (ma il Parlamento può interromperne il corso o di estenderne la durata per periodi di quattro mesi rinnovabili) presidente e governo saranno investiti di poteri speciali. Il Consiglio dei ministri, presieduto dal capo dello Stato, può ad esempio «emettere decreti aventi forza di legge», sottoposti lo stesso giorno all'approvazione del Parlamento. Tra le misure allo studio, la limitazione della libertà di manifestare e di circolare e una censura bella e buona, senza inutili metafore e giri di parole a giornali, radio, Tv e Internet. Intanto sono stati fermati due giornalisti.

Tra i partiti d'opposizione, l'unico a far sentire una voce dissonante è il repubblicano Chp. «Questo è un golpe civile contro il Parlamento», ha denunciato alla Cnn turca il deputato Ozgur Ozel.

Per l'Hdp, partito per i diritti delle minoranze in cui si riconoscono i curdi, «il tentativo di golpe del 15 luglio si è trasformato in un'opportunità per liquidare chi contesta il governo e per limitare ulteriormente i diritti democratici e le libertà. La gente è stata costretta a scegliere tra un golpe e un regime». Le carceri sono già piene. Ma anche per loro, da domani, si troverà un po' di posto, all'insegna del vecchio adagio: «avanti c'è posto».

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