La giudice che assolse Berlusconi in appello insultata dai colleghi

Scrisse le motivazioni della sentenza del luglio scorso nel processo Ruby. Contro di lei scattò un "tiro al piccione" da parte di Md

I giudici Puccinelli, Tranfa e Locurto
I giudici Puccinelli, Tranfa e Locurto

Concetta Locurto è la giudice che l'estate scorsa scrisse le motivazioni della sentenza di assoluzione di Berlusconi, in appello, nel processo Ruby. Da allora è sempre rimasta in silenzio sulla vicenda e anche dopo la parola fine, scritta dalla Cassazione, ha scelto di mantenere fede alla propria scelta di riservatezza. Il Corriere della sera oggi evidenzia che la Locurto è stata oggetto di un vero e proprio "tiro al piccione" da parte della corrente di Magistratura democratica. Proprio lei, che si è sempre professata progressista, è finita al centro delle polemiche - e delle accuse - perché aveva assolto il leader di Forza Italia.

La polemica era divampata a livelli tali da indurre la giudice a rispondere, via email, alle accuse di alcuni magistrati che accreditavano la tesi della "torsione del diritto" avvenuta per aiutare Berlusconi. Tesi che, peraltro, avrebbero spinto il giudice Enrico Tranfa, presidente del collegio, a dimettersi dalla magistratura in modo plateale, la mattina stessa del deposito delle motivazioni, con una frase che lasciò sbalorditi: "Non me la sento domani di fiudicare un marocchino in modo diverso da quanto fatto oggi per Berlusconi". Nella sua risposta la Loturco metteva in guardia i colleghi dal rischio di una "malevola dietrologia faziosa", dal "pregiudizio" e dai "pensieri in libertà da chiacchiera al bar". In più puntava il dito contro i magistrati che volevano giudicare senza conoscere le carte, finendo col portare avanti un "tiro al piccione senza alcun rispetto per l'Istituzione e le persone".

Ovviamente il "piccione" era lei, presa di mira anche (o soprattutto) perché, in passato, era stata coordinatrice milanese di "Area", cartello tra le correnti di sinistra di Md e Movimento per la giustizia. La Locurto aveva risposto con fermezza invitando i colleghi a rileggersi i provvedimenti da lei redatti in tutta la sua carriera, piccoli o grandi che fossero, per avere certezza "dell'identità di metro di valutazione utilizzato indifferentemente per extracomunitari e potenti". In altre parole, voleva dire la giudice, "non guardo né ho mai guardato in faccia a nessuno". Era una piccata risposta alle insinuazioni di quegli anonimi pm milanesi (citati da un quotidiano con tanto di virgolettati) che avevano definito l'assoluzione uno dei (tanti) frutti del Patto del Nazareno. Ma l'amarezza della Locurto non nasceva tanto dalle accuse ricevute, quanto dal silenzio - per lei ancor più pesante - di chi avrebbe potuto (e forse dovuto) difenderla, non tanto come persona ma come istituzione.

E citava uno dei massimi filofosi del diritto, Luigi Ferrajoli, e le nove massime di deontologia giudiziaria, in cui, tra le altre cose, si evidenzia il rifiuto, nella maniera più assoluta, di ogni rischio di strumentalizzazioni politiche della giurisdizione.

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