Giza, blitz immediato: uccisi 40 terroristi «Meditavano altri colpi»

L'inchiesta si concentra su due gruppi affiliati all'Isis. Bomba contro auto di militari: 5 morti

Luigi Guelpa

Il ministro degli Interni Mahmoud Tafwiq l'aveva annunciato venerdì sera all'emittente Nile Tv: «È arrivato il momento di mostrare il pugno duro». Così è stato, e la risposta all'attentato jihadista contro il pullman di turisti vietnamiti (4 morti) sulla spianata delle Piramidi non si è fatta attendere. Una quarantina di terroristi è stata uccisa in tre operazioni distinte nella notte tra venerdì e sabato: 14 neutralizzati nel distretto Sei Ottobre, a ridosso del Cairo, altri 16 nel deserto di Baharia, a più di 300 km a sud-est della capitale. Ulteriori 10 sono stati accerchiati e poi annientati nella località di Al Arish, roccaforte dei terroristi collocata nel nord della provincia del Sinai. Sempre lì sono state sequestrate armi, munizioni e bombe artigianali, simili a quella fatta esplodere a due passi dal pullman dei vietnamiti. Ma ad Al Arish, nella serata di ieri, sono stati proprio i poliziotti a rimanere vittima di una controffensiva: cinque militari, tra cui un ufficiale, sono morti nell'esplosione dell'auto su cui viaggiavano.

I servizi di intelligence del Cairo hanno inoltre raccolto informazioni sui gruppi terroristici «Partigiani di Gerusalemme» e «Wilaya Sina», affiliati all'Isis, che stavano pianificando una serie di attacchi contro istituzioni, turismo, forze armate, caserme e chiese. Dal documento emerge il disegno delle due cellule di far esplodere ordigni al palazzo El Orouba, una delle tre residenze del presidente Al Sisi, al Museo di arte copta del Cairo e in alcune località turistiche della baia di Almaza, sul Mediterraneo. Negli ultimi dieci mesi i terroristi eliminati sono più di 400, mentre altri 600, tra fiancheggiatori e miliziani, sono finiti in carcere. Nonostante l'ingente dispiegamento di forze, però, gli attentati continuano senza sosta. L'allerta quindi rimane altissima, soprattutto in vista delle festività copte del 6 gennaio, mentre la magistratura ha aperto un fascicolo d'indagine sui fatti di giovedì pomeriggio.

Secondo il premier Mostafa Madbouly, che ieri ha fatto visita negli ospedali ai turisti rimasti feriti nell'assalto, l'autobus avrebbe deviato dall'abituale strada di transito turistico, ritenuta sicura e sorvegliata dalla polizia. L'autista quindi avrebbe scelto un altro percorso senza avvisare i servizi di sicurezza. Affermazioni che però sono in netto contrasto con quelle del medico vietnamita Pham Duc Huy, uno dei turisti sopravvissuti alla strage. Il 57enne medico di Hanoi ha raccontato ai media che i soccorsi erano stati tempestivi, «anche perché a pochi metri da noi c'era una camionetta della polizia che ci stava scortando».

I servizi egiziani hanno inoltre informato quelli tunisini di contatti tra i jihadisti del Sinai e la cellula «Okba Ibn Nafaa», brigata che agiva fino a poco tempo fa nelle aree di montagna vicine al confine con l'Algeria, ma che da qualche settimana si è infiltrata nel tessuto urbano di Tunisi, Kasserine e Gafsa.

Come in Egitto, i jihadisti tentano di indebolire la macchina del turismo, facendo leva sul vuoto di potere determinatosi, a partire dalla primavera del 2011, con la caduta di Ben Ali, strenuo paladino della laicità dello Stato.

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