Governo ancora bocciato «Niente ripresa per mesi»

Allarme dell'Istat: «La fase di debolezza proseguirà» La fiducia dei consumatori scesa di 9 punti da gennaio

«L'economia italiana ha interrotto la fase di crescita, condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell'offerta dalla caduta produttiva del settore industriale». L'Istat nella nota mensile di settembre ha fornito una fotografia impietosa della situazione del Paese rimarcando che nei prossimi mesi è probabile «un proseguimento della fase di debolezza».

Le valutazioni dell'istituto di statistica, che ancora una volta ha fatto evaporare le dichiarazioni ottimistiche del premier Matteo Renzi, allunga un'ombra sinistra sulla prossima legge di Bilancio e, nell'immediato, sulla Nota di aggiornamento del Def. Il peggioramento del quadro macroeconomico, spiega l'Istat, è legato al regresso dell'indice di fiducia dei consumatori che «da gennaio ha perso circa 9 punti», trascinato al ribasso dalla componente lavoro che a luglio «ha mostrato una battuta d'arresto». Un altro fattore destabilizzante è il trend della dinamica dei prezzi che per i prossimi mesi «non lascia ipotizzare recuperi significativi della dinamica dei prezzi». Bisognerà continuare a fare i conti con uno scenario sostanzialmente deflattivo. In pratica, l'Italia si appresta a fare da cavia nell'analisi del triple dip, ossia una tripla recessione (quella del 2008-2010, quella del 2012-2014 e la prossima ventura) intervallata da periodi di bassa crescita.

D'altronde, le aspettative non possono essere incoraggianti se si guarda ai dati resi noti ieri dal ministero dell'Economia. Nei primi sette mesi del 2016 le entrate tributarie sono ammontate a 243,8 miliardi di euro, in aumento di circa 9 miliardi sullo stesso periodo del 2015 (+3,8% e addirittura +5,1% se si scomputano imposta di bollo e canone Rai, riscossi in maniera differente). A fronte di una prospettiva di crescita del Pil che al massimo potrà registrare il +0,8% nell'anno gli incassi erariali si incrementeranno in misura molto maggiore. L'Irpef (+3,7%) e l'Ires (+10%), in pratica, si sono divorate la «ripresina» che ora sembra non esserci più. «Renzi e Padoan hanno detto bugie agli italiani e non hanno l'umiltà di fare mea culpa neanche davanti all'evidenza», ha commentato Renato Brunetta (Fi).

È lampante che a questo punto diventi fondamentale riuscire a recuperare il massimo delle risorse per incentivare la produttività e rimettere in moto la macchina della crescita che al momento sembra non avere più benzina. È il compito che s'è dato il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, sia per realizzare le aspettative del premier Matteo Renzi sia per guadagnarsi benemerenze utili in futuro.

Il taglio dell'Ires di 3,5 punti percentuali è già cifrato anche se occorrerà assicurare i 3 miliardi di costo. A questi doverebbe aggiungersi una proroga più pesante della decontribuzione per i neoassunti, soprattutto al Sud, ma questo comporterebbe una spesa di oltre 500 milioni. Si dovrebbero pure reperire 850 milioni per la detassazione del salario di produttività che si vorrebbe estendere anche ai redditi da 70-80mila euro lordi annui (50mila il tetto attuale). La conferma del super ammortamento costa un altro miliardo circa.

A questi vanno aggiunti i 2 miliardi sulle pensioni che la segretaria della Cisl, Annamaria Furlan ritiene indispensabili per avviare «un ricambio generazionale nella forza lavoro» proponendo al governo di stipulare un «patto per la crescita».

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