Le opere bloccate o mai avviate in Italia sono oltre 600 per un valore di circa 36 miliardi. I «no a tutto» dei grillini costano alla collettività circa 350mila posti di lavoro in meno, più della metà dei 620mila persi nel settore delle costruzioni negli ultimi 10 anni con la chiusura di 120mila aziende. Ieri è stata la Filca-Cisl a ribadire i dati divulgati dall'Ance nelle scorse settimane in vista dello sciopero generale del comparto edile e legno-arredo di venerdì 15 marzo, una delle sempre più frequente iniziative di imprese e sindacati che invocano lo sblocco dei cantieri per dare fiato a un settore che non ha mai superato la grande crisi post-2007.
È chiaro che al primo posto ci sia il collegamento Torino-Lione il cui valore «di mercato» è stimato in circa 8,5 miliardi con circa 15mila posti di lavoro creati per ogni miliardo investito da qui al 2030. Sul costo dello stop è sempre guerra di cifre tra No-Tav e Sì-Tav ma alcuni dati sono incontrovertibili. Per completare l'opera l'Italia dovrebbe spendere 2,8 miliardi di euro. Fermarla unilateralmente costerebbe un risarcimento all'Unione europea (700 milioni) e alla Francia (350 milioni). Una spesa destinata a raddoppiare con i risarcimenti alle imprese coinvolte tanto sul versante italiano quanto su quello transalpino e con le spese necessarie alla messa in sicurezza delle gallerie già scavate che andrebbero richiuse. Non è finita qui: andrebbe in ogni caso ammodernato e raddoppiato il tunnel del Frejus perché la galleria a canna unica non è più utilizzabile per merci e passeggeri e anche in questo caso si tratterebbe di una spesa di un paio di miliardi. Le stime secondo cui fermare la Torino-Lione costerebbe tra i 3 e i 4 miliardi sono, pertanto, veritiere. Una spesa superiore ai 2,8 miliardi necessari al completamento e che soprattutto comporterebbe la rinuncia ad almeno 1,5 miliardi di ritenute Irpef e Inps per i lavoratori coinvolti fino al 2030. «Rinunciare alla Tav vorrebbe dire essere tagliati fuori dall'Europa», ha dichiarato Franco Turri, segretario generale Filca-Cisl.
La manifestazione di venerdì è legata, tuttavia, alla salvaguardia del settore il cui peso sul Pil è sceso dall'11,5% del 2008 all'8% attuale. Nello stesso periodo hanno chiuso 120 mila aziende. Almeno 118 miliardi di investimenti pubblici sono poi bloccati dalle lunghezze burocratiche. Per la cantierizzazione di opere di impatto minimo, dal valore di 100mila euro, occorrono 2 anni che salgono a 15 per quelle sopra i 100 milioni, ricorda la Filca Cisl. È ovvio che in alcuni casi le lungaggini burocratiche sono legate anche alla volontà politica di non procedere alla messa in opera. È il caso dell'Emilia Romagna: il ministro Toninelli ha bloccato la realizzazione di tre autostrade (Passante di Bologna, Cispadana e Campogalliano-Sassuolo).
Ieri il governatore Bonaccini, il sindaco di Bologna Merola, Confindustria e LegaCoop hanno fatto sentire la propria voce per ribadire che sono a rischio oltre 2,5 miliardi di euro di investimenti. Risorse che, unite agli altri cantieri programmati nel biennio 2019-2020, fanno salire a 5 miliardi l'importo degli investimenti complessivi per le opere infrastrutturali in Emilia Romagna.
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