Il governo sbaglia i conti Tutte le tasse in arrivo

Il premier accetti i consigli di Berlusconi anche in economia. Debito, fisco, welfare e Pa: ecco come bisogna agire per trovare i 30 miliardi che servono per evitare la manovra bis

Il governo sbaglia i conti Tutte le tasse in arrivo

Se anche Eugenio Scalfari invoca la Troika vuol dire che le cose vanno proprio male per l'economia italiana. Se è vero che il problema è di tutta l'Eurozona, l'Italia è comunque il fanalino di coda: basta fare il confronto con Grecia e Spagna, che fino a un anno fa erano messe peggio di noi.

Questo vuol dire che l'Italia, dal governo Monti in poi, ha sbagliato tutto. Con l'aumento stellare della tassazione sulla casa (triplicata); la controriforma del mercato del lavoro; la riforma sbagliata delle pensioni; l'aumento della pressione fiscale su famiglie e imprese, per quanto riguarda Monti e Letta. E con il riformismo confuso, impotente, clientelare, inadeguato del governo Renzi: basti pensare al Jobs Act; alla controriforma Madia della Pubblica amministrazione; allo sconquasso dei conti pubblici causato dal «bonus Irpef» di 80 euro; alla spending review impantanata e alla svendita, senza logica e senza un piano, dei propri gioielli di famiglia.

In quasi tre anni, tre distinti governi, tutti caratterizzati dal fatto di non essere stati eletti dal popolo, non hanno voluto, o non sono stati capaci di fare le cose che si dovevano fare, guarda caso contenute nella lettera che il 26 ottobre 2011 il governo Berlusconi inviò, ricevendo tanti applausi, ai presidenti di Commissione e Consiglio europeo. Oggi le cose da fare sono chiare a tutti, perfino a Eugenio Scalfari, che invoca la Troika, delegittimando, di fatto, Renzi.

I dati parlano chiaro: per mantenere gli impegni presi con l'Europa nel 2014 mancano tra 29 e 32 miliardi di euro. E per mantenere le promesse che Renzi ha fatto agli italiani bisognerà trovare altri 37 miliardi nel 2015.

IL PIANO BERLUSCONI

Debito pubblico e presidenzialismo

Innanzitutto si rende necessario un intervento straordinario, ma duraturo, di aggressione del debito pubblico. Una riduzione strutturale del debito sovrano dell'ordine di 400 miliardi (circa 20-25 punti di Pil) in 5 anni: 100 miliardi derivano dalla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi all'anno (circa 1 punto di Pil ogni anno); 40-50 miliardi (circa 2,5 punti di Pil) dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali; 25-35 miliardi (circa 1,5 punti di Pil) dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute all'estero (5-7 miliardi all'anno); 215-235 miliardi dalla vendita di beni patrimoniali e diritti dello Stato disponibili e non strategici ad una società di diritto privato. Altro che svendite per fare cassa.

Il segnale strategico che si vuol dare con un piano di questo tipo è quello di aumentare l'efficienza, la produttività e la competitività dell'economia italiana; ridurre il peso dello Stato; liberare risorse oggi patologicamente impiegate per il servizio del debito. Ma l'attacco stabile e duraturo al debito pubblico, da solo, non basta: per scongiurare l'incertezza e l'ingovernabilità, occorre accompagnare una parallela verticalizzazione delle istituzioni, che preveda l'elezione diretta del presidente della Repubblica e assicuri una guida stabile e democraticamente legittimata alla politica italiana. Altro che l'attuale riforma del Senato.

Attacco al debito ed elezione diretta del presidente della Repubblica: due facce della stessa medaglia. Un doppio segnale fortissimo. L'operazione nel suo complesso avrebbe in sé tutta la forza, tutta l'etica, di una vera rivoluzione: si avvierebbe finalmente un meccanismo positivo di modernizzazione del paese per essere europei a 360 gradi, che i mercati non potrebbero non apprezzare, sia da un punto di vista finanziario sia da un punto di vista di credibilità politico-istituzionale.

Pressione fiscale

Una volta avviato il piano di riduzione strutturale del debito pubblico, andrebbe parallelamente avviato un grande piano di riduzione della spesa pubblica, destinando le risorse così ottenute alla riduzione, di pari importo, della pressione fiscale.

Nel programma elettorale 2013 della coalizione di centrodestra, che 10 milioni di italiani hanno votato, Berlusconi ha proposto di ridurre di 80 miliardi in 5 anni (16 miliardi all'anno) la spesa pubblica corrente (attualmente pari a circa 800 miliardi) e di ridurre di pari importo la pressione fiscale. Con l'ambizioso obiettivo di portare la nostra economia a crescere a un ritmo di almeno il 2%, stimolando così i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Con più gettito e più risorse per gli ammortizzatori sociali. Quindi più benessere.

Se si riduce di 16 miliardi all'anno la spesa pubblica, di pari importo andrebbe ridotta la pressione fiscale, con provvedimenti per 8 miliardi all'anno a favore delle famiglie e per altri 8 miliardi all'anno a favore delle imprese. Il tutto per portare, in 5 anni (durata di ogni legislatura) dal 45% al 40% la pressione fiscale in Italia.

La politica economica Ue

Questa è la vera spending review . Cui aggiungere la richiesta, a livello europeo, non di una generica «maggiore flessibilità» ma di una nuova politica economica nell'intera area dell'euro. A partire dalla reflazione in Germania; le riforme simultanee in tutti gli Stati dell'Eurozona; l'accelerazione sulle 4 unioni: bancaria, di bilancio, politica e economica. Solo in questo modo potranno crearsi le condizioni per consentire alla Banca centrale europea di utilizzare al massimo gli strumenti di politica monetaria previsti dal suo Statuto. Fino al quantitative easing all'europea, di cui abbiamo tanto bisogno. Anche per deprezzare l'euro di almeno il 20%, in modo tale da far riacquistare competitività all'intera Eurozona. E per questa strada «domare» i mercati.

Lavoro, Tfr e Pa

Infine, la riforma del mercato del lavoro. Tutto parte dalla lettera della Bce al governo italiano del 5 agosto 2011, ove si chiedeva l'introduzione di una vera flessibilità nel mercato del lavoro, attraverso «un'ulteriore riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livello di impresa», nonché «un'accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione». Realizziamo questi due punti e avremo il plauso non solo dell'Europa e dei mercati, ma soprattutto dei nostri giovani, delle nostre famiglie, delle nostre imprese.

A tutto questo andrebbe aggiunto uno stimolo immediato per riportare liquidità (fino a 6 miliardi di euro) nelle casse delle imprese e nelle tasche dei lavoratori, da un lato riassegnando alle aziende con più di 50 dipendenti la quota di Tfr non utilizzata per la previdenza complementare (attualmente accantonata presso l'Inps), dall'altro consentendo a tutti i lavoratori di poter reclamare, in costanza di rapporto di lavoro e senza doverla giustificare, una anticipazione fino al 100% del proprio Trattamento di fine rapporto. Per quanto riguarda le imprese, il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, per i 64 miliardi ad oggi restanti, fornirebbe ulteriore liquidità, di cui mai come oggi c'è bisogno. Insieme al Tfr, una manovra espansiva di politica economica.

Questo è il piano Berlusconi contro l'autunno nero che verrà. Renzi lo adotti per uscire dalla crisi.

Se c'è stato e c'è ancora dialogo sulle riforme istituzionali, per le quali l'apertura di credito del presidente Berlusconi nei confronti del presidente Renzi è stata grande e generosa; e se la riforma elettorale è ancora in discussione, dopo il fallimento della sua strategia di politica economica, Renzi mostri la stessa generosità che con lui ha avuto Berlusconi in tema di riforme costituzionali. Adotti il suo piano. Uno scambio alla luce del sole, per il bene del paese.

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