Fausto Biloslavo
La costola del Califfato annidata nella penisola del Sinai, l'appoggio in Libia contro le bandiere nere, lo stretto legame anche in termini di forniture militari con la Francia, il ruolo strategico dell'Egitto nella lotta al terrorismo e di buon vicinato con Israele sono tutti fattori che fanno del Cairo un obiettivo privilegiato.
Il terribile caso di Giulio Regeni ha offuscato nell'opinione pubblica italiana il ruolo dell'Egitto nello scacchiere mediorientale e i rischi reali che corre il paese. L'ex generale Abdel Fattah Al Sisi non è un dittatore nord coreano e neppure un novello Pinochet, anche se i suoi apparati di sicurezza non usano i guanti e violano spesso i diritti umani. Non a caso 48 ore fa era in visita lampo al Cairo, il segretario di Stato americano, John Kerry, che ha espresso «apprezzamento per gli appelli del presidente» sul rilancio del negoziato fra israeliani e palestinesi. Per gli Stati Uniti l'Egitto è un paese «fondamentale per la pace e la sicurezza» e Washington ha ribadito la «cooperazione strategica» con il Cairo. I rapporti si erano raffreddati dopo il colpo di stato, appoggiato dal popolo, che nel 2013 ha destituito Mohammed Morsi, il presidente dei Fratelli musulmani, oggi messi al bando. Però dal 2015 e fino al 2018 gli Usa hanno ripristinato i 1300 milioni di dollari l'anno in assistenza militare.
La costola del Califfato nel Sinai aveva rivendicato l'abbattimento dell'aereo russo sulla penisola, con una bomba a bordo, dello scorso ottobre. Il gruppo jihadista Ansar Beit al-Maqdis (Sostenitori di Gerusalemme) è nato cinque anni fa grazie a veterani di Al Qaida e alla radicalizzazione dei clan beduini. Il 10 novembre 2014 ha aderito allo Stato islamico: «Dopo esserci affidati a Dio, abbiamo deciso di stringere alleanza con l'emiro al-Baghdadi, califfo dei musulmani in Siria, Iraq e altri Paesi». I miliziani armati sarebbero appena 1500, ma di recente hanno mostrato dei video di un campo di addestramento nella penisola definita dagli stessi egiziani «uno scatolone di sabbia». Il gruppo jihadista adesso si chiama Provincia del Sinai del Califfato e ha stretto alleanza con cellule estremiste palestinesi nella vicina striscia di Gaza. L'esercito egiziano sta intervenendo con bombardamenti aerei, carri armati, elicotteri e l'appoggio discreto degli israeliani grazie ai loro droni, che considerano il Sinai un «Far West». I beduini jihadisti sono abilissimi, però, a colpire con attacchi kamikaze, anche nei resort turistici e poi sparire fra le dune. Non solo: le bandiere nere del Sinai hanno impiantato cellule anche al Cairo e Giza. Dal 2013 sono almeno 500 i morti negli attentati compresi turisti italiani. Una bomba ha pure devastato il nostro consolato al Cairo. E nel video di fine gennaio per il quinto anniversario della rivoluzione contro Hosni Mubarak, i seguaci egiziani del Califfo si sono appellati ai Fratelli musulmani per deporre il regime di Al Sisi.
L'altro fronte a rischio dell'Egitto, che può scatenare le rappresaglie del terrore è quello esterno della confinante Libia. Al Sisi appoggia il generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, comandante di quello che rimane dell'esercito. Ex ufficiale di Gheddafi, poi riparato negli Usa, proprio due giorni fa ha annunciato che marcerà su Sirte, la «capitale» libica della bandiere nere. E ha aggiunto che non riconosce il governo di Fayez Serraj che, con l'appoggio dell'Onu e soprattutto dall'Italia, si sta insediando fra mille difficoltà a Tripoli.
La politica egiziana in Libia è sostenuta sotto banco dalla Francia che con il Cairo ha legami nel campo della Difesa sempre più stretti. La Dassault Aviation fornirà 24 caccia bombardieri per 5,2 miliardi di euro finanziati dall'Arabia Saudita. Altre commesse importanti riguardano due portaelicotteri Mistral e le corvette Gowind oltre a sistemi di comunicazione satellitari per l'Egitto.
Se verrà confermata la pista dell'attentato nel volo dell'Egyptair i terroristi avrebbero raggiunto due bersagli in un colpo solo.
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