Gigino Di Maio fa la bella sdegnosa. Compiaciuta del corteggiamento, ma - apparentemente - non disposta a concedere le proprie grazie: «Non sono in questo momento all'ordine del giorno patti regionali né tantomeno nazionali. A me più che i patti interessano i fatti». Il ricercato calembour, che non vuol dir nulla, serve a respingere pubblicamente le avance di Nicola Zingaretti, che l'altra sera ha dichiarato il proprio amore in diretta tv, invitando i Cinque Stelle a trasformare l'accordo di governo e il patto per l'Umbria in una alleanza stabile: «Insieme abbiamo un potenziale del 47-48%. Altrimenti torna Salvini», è lo spauracchio agitato dal leader del Pd. Beppe Grillo, che ieri dal palco di «Italia a 5 stelle» a Napoli (dopo essersi fatto anticipare da un video in cui era camuffato da Joker) sembra essere sintonizzato sulle frequenze del Nazareno e intende far accettare la manovra ai suoi accoliti. «Basta con i piagnistei sull'alleanza con il Pd, non voglio che rimanete qui a dire sempre Pd, Pd, stavolta vaffanculo a voi», ha chiosato con la sua solita eleganza sottolineando che «non avevamo scelte».
Insomma, non è un'infatuazione temporanea, è una necessità. Tanto più che, come prova d'amore, Zingaretti offre il sacrificio supremo: non si chiederanno più le dimissioni della devastante sindaca di Roma Virginia Raggi, se mai le si darà una mano a «metterci più impegno». In cambio, il Pd si aspetta il via libera alla candidatura di Bonaccini in Emilia Romagna, partita fondamentale per i dem. Che sventolano i sondaggi: sei regioni su nove, nelle prossime tornate elettorali, potrebbero finire ai giallorossi se saranno uniti. Sbarrando la strada al centrodestra.
La base dem, già provata dal ritrovarsi a governare con gli arcinemici, non reagisce bene alla proposta del segretario: su Twitter viene accolta da valanghe di commenti negativi: da «suicidio politico» a «sarebbe la morte del partito» a «mi viene da vomitare». Critiche dure arrivano dall'interno (Matteo Orfini chiede che si convochi un congresso visto che si cambia drasticamente linea) e anche dagli ex compagni di strada della creatura renziana Italia Viva: «Al segretario del Pd - denuncia Roberto Giachetti - che dice che la Raggi deve lavorare con più impegno dico: se ci mette altro impegno rade al suolo la città». Durissimo anche Carlo Calenda: «Il giorno in cui la leadership del più grande partito progressista europeo si sarà stancata di prendere calci nel sedere da uno scappato di casa senza arte né parte sarà un bel giorno».
Dietro le apparenze però c'è ben altro e Zingaretti si mostra tranquillo: «Serve un grande Pd e una grande alleanza» per battere le destre, ripete. E spiega che i «no» e le «frenate» erano «messi in conto». Ma al Nazareno sono certi che «lì si andrà a parare: la strada è quella», e l'alleanza organica è inevitabile. Del resto anche Di Maio - che pochi giorni fa ne ha parlato a vis a vis con il segretario - ne è convinto. Però, ha spiegato ai dirigenti Pd, «ci serve tempo» per far digerire l'inversione a U ad un partito allevato a «vaffa» e «morte al Pd».
Che la Casaleggio sia ormai convinta che per restare al potere sia necessario saldare il patto col Pd lo dimostra il fatto che l'organo ufficioso del grillismo, il Fatto Quotidiano, ieri titolava sui sondaggi che darebbero sei regioni ai neo-sposi. E lo dimostra anche il cambio di strategia sulla legge elettorale: niente più ritorno al proporzionale, meglio tenersi il Rosatellum, che - col suo «premio» in collegi - agevolerà il futuro matrimonio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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