L' immagine di Joe Biden e Volodymyr Zelensky a colloquio davanti al caminetto acceso della Casa Bianca e la standing ovation tributata dal Congresso di Washington al presidente ucraino in tenuta militare rimarranno due punti di svolta del conflitto. A Vladimir Putin e al mondo intero è stato mandato un messaggio forte e chiaro: Biden tratta Zelensky da alleato e, pur ponendo alcuni paletti precisi, toglie ogni dubbio riguardo la sua intenzione di continuare a sostenere la resistenza del suo Paese. Il presidente degli Stati Uniti ha sottoscritto la definizione di «uomo dell'anno» attribuita al collega di Kiev, e ha chiarito che gli ucraini meritano il sostegno americano in primo luogo per vicinanza di valori, per il diritto a scegliere liberamente di vivere come noi.
Ecco una sintesi in cinque punti di ciò che Zelensky porta a casa dalla sua missione, ricordando però anche gli aspetti su cui Washington e Kiev rimangono più distanti.
1. Zelensky ha ottenuto da Biden il riconoscimento di uno status di alleato appena inferiore a quello di un membro Nato: gli Usa e i loro alleati sono intervenuti a difesa dell'Ucraina, fermandosi solo davanti alla linea rossa nemmeno tanto precisa del rifiuto di farsi coinvolgere in una escalation che porti a un confronto militare diretto con Mosca. Questo implica una generosa ulteriore fornitura di armamenti soprattutto difensivi (missili Patriot in testa) da parte americana.
2. È stato ribadito il concetto di «pace giusta con la Russia» come obiettivo cui tendere al termine del conflitto. Biden conferma che spetta a Zelensky (che è l'aggredito) e non a Putin (che è l'aggressore) definire cosa si intenda per giusta, in termini di tempi e di modi. Fino ad allora, Washington si impegna a sostenere Kiev nella sua battaglia per la libertà, senza concedere al Cremlino di contestare livello e caratteristiche di questo sostegno.
3. A differenza di quanto ha recentemente affermato Emmanuel Macron, secondo il quale la pace verrà quando si forniranno alla Russia garanzie sulla sua sicurezza, Biden mette in chiaro che vengono prima la sicurezza dell'Ucraina e dei Paesi alleati dell'Est europeo, oggetto del revanscismo russo. Solo dopo averla assicurata, si potrà discutere di ciò che pretende Mosca, che peraltro nessuno minaccia. È qui la fondamentale differenza dai «realisti» alla Henry Kissinger, secondo cui l'Ucraina dovrebbe accettare sacrifici anche territoriali in nome di un presunto interesse generale
4. Zelensky torna a Kiev relativamente confortato dal crescente isolamento internazionale di Putin, i cui più affidabili soci sono ormai gli infami ayatollah iraniani: mentre lui veniva accolto da alleato a Washington, il cosiddetto zar non riusciva a ottenere nemmeno la promessa del vassallo Lukashenko di schierare al suo fianco truppe bielorusse per aprire un nuovo fronte contro Kiev, e a Pechino il suo inviato Dmitry Medvedev si sentiva dire dal presidente Xi Jinping in persona che Putin dovrebbe cercare la pace.
5. I rifornimenti di armi americane all'Ucraina obbligano infine Putin a riversare risorse crescenti nella guerra. Ma così facendo, egli fa (forse senza comprenderlo) il gioco di Biden, che lo vuole indebolito economicamente e politicamente.
Tutto ciò detto, rimangono due punti sostanziali di distanza tra Zelensky e Biden. Il primo riguarda gli armamenti: non arriveranno missili a lunga gittata (Biden nega e negherà a Kiev armi adatte a colpire in territorio russo), né carri armati di ultima generazione. Il secondo punto è l'exit strategy diplomatica dal conflitto: Biden ne ha parlato a quattr'occhi con Zelensky, che vuole prima il ritiro dei russi dall'intera Ucraina, Donbass e Crimea inclusi.
Esistono però altri due scenari: il ritiro russo sulle linee del 2014, e quello dal Donbass ma non dalla Crimea. Biden cerca di capire se Zelensky sia malleabile nel lungo termine e ha strumenti per condizionarlo. Ma la discussione è assai teorica, visto che Putin non ha la minima intenzione di negoziare seriamente.
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