Nel generale clima di incertezza che avvolge ciò che resta della cattedrale di Notre-Dame, un dato di fatto è finalmente emerso: c'è chi la chiama incuria, chi sciatteria. Chi invece, carte alla mano, evidenzia la drammatica realtà: a Parigi lo Stato non assicura quasi mai i suoi beni contro gli incendi affidandosi a compagnie private, «ma vigilerà esso stesso assumendosi le responsabilità delle conseguenze del fuoco». Parole recuperate in un documento ufficiale del ministero dell'Economia che tornano drammaticamente d'attualità dopo l'incendio della più nota chiesa di Francia. Per l'appunto, non assicurata dallo Stato.
Perfino la diocesi di Parigi aveva una polizza, con la Mutuelles Saint-Christophe, per quel poco che le apparteneva dentro Notre-Dame; l'impianto sonoro, i banchi dei fedeli e poco altro. Lo Stato preferisce invece affrontare una catastrofe piuttosto che pagare premi ogni anno. La Federazione francese delle Assicurazioni afferma che anche in questo caso lo Stato era «il proprio assicuratore». Come «per tutte le istituzioni religiose che possiede». Notre-Dame e le «cattedrali costruite prima del 1905», cioè 83 edifici su 93. «Essere auto-assicurati, in gergo tecnico, equivale però a dire che non si è assicurati», decifra Frédéric Durot, direttore del dipartimento sinistri della Siaci Saint Honoré. Una scelta fatta 130 anni fa, diventata prassi, che allarma gli esperti nel 2001. Mentre valutano i dispositivi di sicurezza dei palazzi, dopo le tempeste Lothar e Martin nel '99, inciampano quasi per caso nel rapporto costi-benefici che risale alla fine del XIX° secolo; trasformato, spesso per ragioni di comodo, nel riferimento contemporaneo per dirsi rispettosi degli standard. Di fatto, poco più di un'autocertificazione, perché le assicurazioni continuano a essere costose e si conta sulle proprie forze affidandosi alla fortuna.
Alcuni edifici firmano patti di assicurazione per danni parziali. Come la Tour Eiffel, che vanta un'assicurazione da centinaia di milioni, o il Senato, per una decina di milioni. Il cantiere di Notre-Dame ha a sua volta una polizza di assicurazione per sinistri, ma a copertura parziale. Se la responsabilità sarà attribuita a un errore delle compagnie di restauro, arriveranno briciole rispetto al danno complessivo che lo Stato pagherà per una scelta del 1889 mai ritrattata.
Centrotrent'anni dopo, «si assumerà le responsabilità delle conseguenze del fuoco» così com'è scritto nel vecchio documento. Parole che, lette dopo il disastro, rimettono in causa l'intero sistema di sorveglianza delle proprietà statali, non solo Notre-Dame. Specie a fronte di altre chiese bruciate nei mesi scorsi. Se questi erano i presupposti, ci si domanda chi dovesse vigilare sui principi d'incendio come quello a cui non è stato dato peso subito. Un errore di software, dicono le autorità, avrebbe indicato un punto sbagliato rispetto alla posizione delle scintille, mandando in palla la sorveglianza e facendo scattare tardivamente la chiamata ai pompieri.
Il responsabile del progetto di restauro, cioè il Ministero della Cultura, si difende dalle accuse di negligenza parlando di «grandi investimenti nella sicurezza antincendio fatti anni fa». Resta il paradosso di come un'analisi costi-benefici del 1889 possa dettare legge quando tutti sanno che «dire d'essere il proprio assicuratore significa, in termini assicurativi, che non sei assicurato», ricorda la Federazione.
Benjamin Mouton, capo architetto dei monumenti storici di Parigi, responsabile della cattedrale dal 2000 al 2013, insiste nel dire che la protezione antincendio era al massimo livello.
Molte porte di legno sostituite da porte tagliafuoco e tutti i dispositivi elettrici vietati nella zona superiore. In quel tetto dove qualcosa è andato storto, nonostante i tecnici avessero chiarito che «la pertinenza di simili argomenti» andava «riesaminata».
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