I democratici già nel caos sull'appoggio a Fico

I piddini divisi sull'intesa col M5s. I sospetti su Martina e i dubbi sul Colle: «L'immobilismo non aiuta»

I democratici già nel caos sull'appoggio a Fico

Roma - Da oggi potrebbe essere il turno di Roberto Fico, secondo esploratore istituzionale nel surreale balletto della crisi, e in casa Pd si registra agitazione.

Con i riflettori tutti puntati su centrodestra e i grillini, stare alla finestra era assai semplice. Ora invece l'esploratore Fico potrebbe ficcare la testa anche dentro al forno Dem, e qualcosa bisognerà pur dirgli. Naturalmente ci si divide sul cosa, e - soprattutto - sul chi. Già, perché al di là delle diverse opinioni e delle bizzarre illuminazioni filo-casaleggiane delle ultime ore, come quella del sindaco di Milano Sala (duramente criticato dai renziani: «Come diamine si fa a dire che dobbiamo fare un governo con M5s nello stesso giorno in cui Di Maio dice che con Salvini può fare grandi cose? Se proprio non gli entra in testa che con Di Maio siamo distanti, almeno un po' di orgoglio», dice Davide Faraone), il vero nodo sul cui è iniziato lo scontro interno è: chi gestisce questa fase politica, e decide la linea da tenere? Chi, insomma, è titolato a dire sì o no a Fico o chi per lui?

La situazione è congelata al post 4 marzo: Renzi dimissionario, linea «Pd all'opposizione» votata all'unanimità in direzione. La delegazione per le consultazioni è guidata dal reggente Martina, che la sinistra interna giudica troppo renziano e i renziani troppo di sinistra; ma l'assemblea nazionale per eleggerlo segretario o indire il congresso è stata rinviata sine die. E sono in molti a temere (o a sperare) che, alla fine, a tirare i fili, in mancanza di forti leadership alternative, sia sempre Renzi. Così sono in molti, da Andrea Orlando a Gianni Cuperlo a Cesare Damiano, ad affermare che il rinvio è stato «un errore» e che vanno accelerate le pratiche per il ricambio. «Il Pd deve ridiscutere il suo posizionamento politico, deciso dall'ultima Direzione, non più adatto a fronteggiare la situazione attuale», dice ad esempio Damiano, che chiede di fissare subito la data dell'Assemblea. E avverte: «Se Salvini non rinuncerà all'alleanza di centrodestra, ci avvieremo verso possibili soluzioni istituzionali, come quella del governo del presidente. In quest'ultimo caso, il Pd non potrebbe sottrarsi alla chiamata del Colle». Concetti molto simili a quelli di Piero Fassino: «Se destra e Cinque stelle sono in grado, facciano un governo. Se no, ne prendano atto e si passi ad altri scenari».

E intanto dentro il

Pd, sia pur a mezza bocca, trapela qualche critica al modo in cui il capo dello Stato sta gestendo la crisi: «Va bene non voler fare il Napolitano - sussurra più di un esponente - ma anche l'immobilismo assoluto non aiuta».

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