Ma Renzi pregusta la vittoria al pallottoliere

I fedelissimi rassicurano il premier: nessun pericolo, il ddl Boschi passerà con 191 voti

RomaC'è un numero magico che attende Matteo Renzi al suo ritorno dagli Stati Uniti (il premier è rientrato nella notte): centonovanta e uno. Sono infatti centonovantuno i senatori pronti a dare via libera alla riforma del Senato, che inizierà oggi la maratona dei voti nell'aula di Palazzo Madama. I conteggi, fatti ai piani alti del Pd, sono ancora riservatissimi, ma ovviamente Renzi ne è stato messo a conoscenza. E infatti, da New York, dice che «sia che Berlusconi la voti sia che non la voti, abbiamo comunque una buona maggioranza sulla riforma».

Un numero «stratosferico», come dicono gli stessi collaboratori del premier, che mette al sicuro il ddl Boschi e quindi il governo da qualsiasi turbolenza, e anche dai capricci della minoranza interna al Pd. «Noi nemmeno li cerchiamo né tentiamo di adescarli: c'è una massiccia frana spontanea in nostra direzione, nel nome della “stabilità”, ossia della durata della legislatura», si spiega. Un numero largamente superiore a quello raccolto nei voti di fiducia, che dimostra come, nella percezione della base parlamentare, il vento soffi nuovamente nelle vele del capo del governo. E che renderà più complicato a Bersani e compagni agitare come arma polemica l'apporto decisivo dei voti di Verdini.

Ieri il renziano Roberto Giachetti ha già liquidato la nuova rivolta interna ricordando ai bersaniani che per loro «il voto di Verdini non puzzava quando votava con voi i governi di Monti o di Letta» e che «nel vostro giardino hanno pascolato in passato Di Pietro e Mastella, Dini e Cossiga» senza che questo causasse le reazioni scandalizzate di oggi. Ecco dunque che, dal «Vietnam» minacciato dalla fronda Pd, si sta scivolando verso una prospettiva assai più pacifica e rassicurante. Tanto che i più ottimisti azzardano la previsione che il voto finale sulla riforma, tra «canguri» e inammissibilità, arriverà anche prima della data del 13 ottobre prevista.

Ma governo e maggioranza restano sul chi vive: non tutti gli ostacoli sono automaticamente superati. Certo, ieri il presidente del Senato Pietro Grasso ha tolto di mezzo un bel macigno sbarrando la strada alle decine di milioni di emendamenti prodotti dal cervellone elettronico di Roberto Calderoli. Ma ne sono restati in piedi ancora più di 300mila, e su quelli Grasso si è riservato di decidere articolo per articolo. «Il che - spiegano nel Pd - vuol dire che ogni giorno dovremo andare da lui a chiedergli il responso su ogni capitolo». Insomma, il governo sperava che il presidente del Senato enunciasse una volta per tutte i suoi criteri di selezione, in modo da avere un quadro d'insieme chiaro e da poter chiudere in fretta i fronti di trattativa ancora aperti, sia interni che esterni. La minoranza Pd infatti tenta di riaprire un braccio di ferro sull'elettività dei futuri senatori, chiedendo che le nuove regole siano inserite in una norma transitoria da inserire in Costituzione, mentre Calderoli vuole aprire una trattativa sulla divisione delle competenze tra Regioni e Senato, e il governo non gli sbarra le porte.

Senza contare che, in teoria, Grasso non ha ancora sciolto al riserva sulla riapertura o meno alle modifiche del famoso articolo 2: dopo l'accordo in casa Pd sui tre emendamenti elaborati da Anna Finocchiaro, l'eventualità sembra ormai scongiurata, ma fino almeno a giovedì la decisione ufficiale non ci sarà. «Così diventa difficile avviare il confronto e si frena l'intesa complessiva», lamenta il sottosegretario alle Riforme Pizzetti.

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