Sono le Stalingrado d'Italia, anzi d'Europa. Undici comuni sotto assedio, dieci nel Lodigiano, uno in Veneto. Blindati, fino a ieri alla buona, da oggi davvero.
Sono paesi fantasma, quelli che fanno parte delle due zone rosse. La prima comprende Codogno, Castiglione d'Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano, una cinquantina di migliaia di persone in un bel pezzo della provincia di Lodi. La seconda il solo comune di Vo' Euganeo, nella provincia di Padova che scivola verso il Polesine. Le due zone di contagio da coronavirus che il governo sta provando a isolare del resto d'Italia, e da cui non si sarebbe potuto uscire, anche se ogni tanto qualcuno lo ha fatto. Ma ora sarà impossibile: il capo della polizia Franco Gabrielli ha disposto l'invio di cinquecento agenti di polizia, quattrocento in Lombardia e cento in Veneto, che dovranno chiudere a tenuta stagna i 35 varchi di accesso all'area lombarda e gli otto al comune veneto. L'ordinanza è stata inviata ai prefetti, che saranno i soli a potere autorizzare eventuali passaggi in casi eccezionali. Saranno istituiti dei corridoi sterili per i rifornimenti di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità. Agli uomini delle forze dell'ordine si aggiungeranno trecento soldati che militarizzeranno la zona e controlleranno che la popolazione rispetti le regole stabilite per ridurre il rischio di diffusione del contagio evitando inoltre atti di sciacallaggio. In allerta anche il Settimo reggimento Cremona, di stanza a Civitavecchia, specializzato in biocontenimento e bonifica e addestrato per la guerra nucleare, batteriologica e chimica (Nbc).
Ieri però è stata una domenica desolante nelle due Wuhan italiane. Niente da fare se non stare tappati in casa a pettinare l'angoscia, al massimo qualche esplorazione in cerca di medicine o viveri. Nella zona di Codogno negozi di alimentari e supermercati, che avrebbero dovuto garantire il servizio, erano quasi tutti chiusi. I pochi aperti, a Casalpusterlengo, sono stati presi d'assalto e ben presto gli scaffali erano vuoti come durante una guerra. Ma forse questa è una guerra, dopotutto. Chiuse e sfornite anche le farmacie, anche per chi deve cercare medicinali che con il coronavirus non hanno nulla a che vedere. I pochi che si avventurano si lamentano: «Il governo ci ha abbandonato, non ha fatto nulla di quello che aveva promesso». Come sempre a compensare alla latitanza delle istituzioni soccorre la buona volontà individuale. Come quella di Maria Cristina Settembrese, infermiera infettivologa al San Paolo di Milano, che ha passato il sabato in compagnia di un medico e di un carabiniere dei Nas a girare per le case di coloro che erano venuti in contatto con il paziente uno, il codognese ora ricoverato al San Matteo di Pavia. Ogni abitazione un rituale esasperante: la vestizione dello staff con camice, cuffia, doppia maschera, guanti, poi la convocazione del paziente in quarantena all'uscio, e il tampone fatto cercando di restare a distanza di sicurezza. «Ho trovato uomini e donne dolcissimi, tranquilli, attenti, che pendevano dalle nostre labbra - racconta Maria Cristina -. Tanti dal balcone ci chiamavano per chiederci il test, ma abbiamo spiegato che abbiamo una lista ben precisa. La paura? Quella ci deve essere sempre per chi fa il mio lavoro, è lei che ti fa tenere l'adrenalina e non abbassare mia la guardia».
Stesso clima surreale a Vo' Euganeo, dove ieri sono stati istituiti i primi blocchi stradali.
Anche qui la preoccupazione dei cittadini è per quello che accadrà nei prossimi giorni, se le famiglie potranno fare la spesa, se i malati potranno rifornirsi dei farmaci, se tutti potranno avere mascherine a norma da indossare. «Siamo tranquilli ma lo saremmo di più se potessimo fare il tampone», dice un cittadino dietro il cancello della sua abitazione, tenendosi a debita distanza. Uno dei tanti prigionieri di un nemico invisibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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