nostro inviato a Chiasso (Svizzera)
Solo dall'inizio del mese ne hanno fermati più di 330. Li trovano dappertutto i profughi: nei boschi, stipati in 14 in una Opel Zafira, in arrivo dall'Italia ma anche dalla ex via della seta (Turchia, Grecia, Polonia, Bielorussia), tra le mortadelle di un camion di alimentari o mentre attraversano il fiume Tresa a nuoto e poi camminano, bagnati fino al midollo, per strada, con la più totale nonchalance , sostenendo «Io? Vengo da Lugano». Gli svizzeri sono gli svizzeri: spesso a noi italiani fanno sorridere, quante barzellette. Ma se noi abbiamo la moda e l'estro, Firenze e Giorgio Armani, loro hanno la civiltà e il rispetto delle norme dello statuto di Schengen che prevede da sempre la collaborazione dell' osservazione transfrontaliera. Un concetto di cui qui purtroppo si sa ben poco, ma che loro rispettano e mettono in pratica come il Verbo grazie al lavoro instancabile della guardia di confine e della polizia cantonale, 24 ore su 24. In questo modo, con la loro politica umanitaria e d'integrazione, hanno «rimediato» ben due premi Nobel. «Se sei un profugo in fuga da una guerra e abbiamo gli elementi per accertarlo qui lo stato di rifugiato politico non te lo nega nessuno - ci spiega Davide Bassi, portavoce delle guardie di confine del Canton Ticino -. Abbiamo una delle maggiori comunità di asilanti eritrei di tutta Europa. Hanno vitto e alloggio, un documento, i loro figli vanno a scuola con i nostri e possono continuare gli studi: il Canton Berna ha appena acquistato una villa per degli asilanti. Alcuni, pur non potendo rivolgersi direttamente a un datore di lavoro, se lo desiderano vengono avviati verso percorsi professionali lavorativi ad esempio in zone agrarie o nella costruzione di orti cittadini per aumentare di circa 30 franchi le spese accessorie che ricevono a testa a settimana».
Mica è facile però diventare asilante in Svizzera. L'iter di certe pratiche può durare anche anni se non ci sono documenti o elementi che ne attestino con assoluta certezza l'identità. E poiché il 90 per cento di chi chiede asilo qui a Chiasso viene dall'Italia, se già in un centro di prima accoglienza, sbarcati dai barconi, ad esempio in Sicilia, questi profughi fossero tutti, come dicono qui - «dattiloscopati» e registrati - saremmo a cavallo. «Invece l'Italia preferisce tenersi i balordi e lasciar andare le persone bisognose e per bene, come tra i profughi ce ne sono tante» mi spiega spiccia una ristoratrice di Chiasso, giurando di non aver mai visto un venditore di rose cingalese nel suo locale e scandalizzata dai mendicanti che l'assalgono in Galleria Vittorio Emanuele quando viene a Milano. «In effetti - precisa Bassi - sanno che, venendo qui, non possono portarsi dietro traffici illegali e fare dei business che possano costituire reato, sanno che non traggono profitti dalla loro posizione di richiedente asilo. Hanno tanti diritti, sono praticamente cittadini svizzeri a tutti gli effetti (ma finché non finisce la procedura per diventare asilante non possono uscire dal Paese, ndr). Tuttavia se l'ufficio federale della migrazione li rende parte di noi, distribuendoli tra tutti i 26 cantoni svizzeri in abitazioni che non sono certo ghetti, loro si devono comportare come noi».
A chi viene scoperto soggiornare illlegalmente in Svizzera al Ccfm (Centro competenze flussi migratori) fanno la «radiografia», con controlli di ogni genere tra cui il rilievo dei dati biometrici (che comprende le impronte delle 10 dita e il Dna, preso dalla saliva) e le fotosegnalazioni. «Il difficile è all'inizio, quando dobbiamo prender loro le impronte - prosegue Bassi -. Soprattutto i siriani, ma anche gli eritrei, sono convinti di essere ancora in Italia dove non vogliono lasciare traccia del loro passaggio per non rischiare un giorno, come previsto dalla convenzione di Dublino, di ottenere asilo nel primo Paese dove si è fatta domanda».
E loro in Italia non ci vogliono stare perché sono convinti che non ci sia futuro per i loro figli.
Con l'«Operazione Blue» a luglio, gli agenti federali hanno scoperto che un'organizzazione gestita da eritrei su territorio svizzero (uno di loro era un asilante) sfruttava i valichi incustoditi per far entrare illegalmente nel Paese profughi su furgoni o grossi monovolume. Dopo due mesi di osservazioni ai valichi, rilevamento delle targhe al confine, analisi e monitoraggi mobili (senza restare fermi nei gabbiotti delle ex frontiere, per intenderci) le guardie di confine hanno smantellato un'organizzazione criminale che in due mesi aveva fatto entrare nel paese circa 1.000 profughi, nove su 10 senza documenti. «Tutti coloro che varcano il confine violando lo statuto di Schengen e non adempiono alle condizioni d'entrata sul suolo svizzero, noi li riconsegnamo alle autorità italiane. E tra il 97 per cento dei fermati dalle guardie di confine solo il 3 per cento va a chiedere asilo spontaneamente» sottolinea Bassi.
Tuttavia, vista la posizione geografica, il Ticino tratta il 90 per cento delle richieste di asilo della Svizzera. E adesso che l'organizzazione dei furgoni è stata smantellata chi espatria illegalmente dall'Italia preferisce l'autostrada del Brennero. Oppure arriva a Chiasso da Milano o prosegue il viaggio verso Zurigo o Berna in treno. Dove sa che forse potrebbe scampare i controlli.
«I fondi europei? L'Italia, con le ruberie di Expo....Ma chi ci crede più? - sorride un collega espatriato qui ai tempi del terrorismo e che desidera restare anonimo -.
Il nostro Belpaese potrebbe però chiedere aiuti umani, italiani di seconda o terza generazione che vivono in Germania e in Spagna e, per tutelare gli accordi di Schengen, andrebbero volentieri ad aiutare le forze dell'ordine a registrare e controllare tutti coloro che sbarcano sulle coste». Un'utopia?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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