I tedeschi ci riprovano: "Draghi oltre i compiti il bazooka va fermato"

La Corte costituzionale chiede all'Europa la rimozione del Qe. I possibili danni per l'Italia

I tedeschi ci riprovano: "Draghi oltre i compiti il bazooka va fermato"

Il denaro di carta, mefistofelica invenzione, non è mai piaciuto ai tedeschi. Nè il Quantitative easing di Mario Draghi, che pur nelle sue declinazioni e alchimie più moderne, finisce per ricadere nella categoria. Quando si può, dunque, si spara ad alzo zero sulle misure con cui la Bce ha salvato l'euro e se ne chiede la loro rimozione. È quanto ha fatto la Corte costituzionale di Karlsruhe col ricorso presentato a un'altra Corte, quella di giustizia europea, invitata a stabilire se il Qe vìola il divieto di finanziare direttamente gli Stati. Non è la prima volta che i giudici in toga rossa passano la palla ai colleghi di Strasburgo, ai quali si erano già rivolti nel 2015 con lo scopo di affondare lo scudo anti-spread Omt, peraltro mai entrato in azione. Allora, erano stati respinti con perdite: probabile lo stesso epilogo anche stavolta. La Commissione Ue si è infatti detta «convinta che la Bce stia operando sulle basi e nei limiti dei Trattati», posizione condivisa dal presidente del parlamento europeo Antonio Tajani («La posizione della Corte tedesca è, da un punto di vista giuridico, infondata»), e perfino il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, mai tenero sul bazooka monetario, si è schierato con Draghi: «La Bce - ha spiegato - sta facendo ricorso a tutti gli strumenti disponibili per realizzare il suo compito diabolicamente difficile di attuare una politica monetaria che vada bene per molti Paesi diversi».

La domanda da porsi, del resto, è una sola: che senso ha chiedere la rottamazione del Qe, proprio ora che il programma di acquisto titoli va verso la sua fase terminale? Da un punto di vista elettorale, la mossa non porta nessun beneficio. Solletica forse chi, come il Partito populista Afd, ha fatto pressione sulla Corte affinché presentasse il ricorso, ma è fuori tempo massimo: in Germania si vota il 22 settembre, e il verdetto non arriverà prima di un anno, quando la ritirata dalle misure di emergenza dovrebbe dunque essere stata suonata da un pezzo. Soprattutto se tutti i tasselli del puzzle saranno a posto. Se la crescita continua a irrobustirsi, a non convincere Draghi è però l'inflazione, ancora troppo debole (1,3%). Un buon motivo per non affrontare il 25 agosto a Jackson Hole, il summit dei banchieri centrali nel Wyoming, un argomento delicato come la graduale rimozione degli aiuti. «Se ne parlerà in ottobre», hanno rivelato fonti della banca centrale alla Reuters. Ovvero, quando sarà più chiaro l'andamento anemico dei salari, la spina nel fianco dell'Eurotower.

In autunno, quindi, Draghi potrebbe comunicare quando comincerà a staccare la spina dal programma con cui il nostro Tesoro ha risparmiato, in due anni, 8 miliardi di interessi grazie al calo dei rendimenti garantito dai 247 miliardi di euro di titoli acquistati dalla Bce. Una cifra enorme, anche se nel canestro del Qe sono finiti 390 miliardi di bund tedeschi. Niente di strano: più capitale della banca centrale possiedi, e più la Bce fa incetta dei tuoi titoli.

La rimozione delle misure non sarà comunque indolore per l'Italia: secondo alcune stime, una riduzione degli acquisti mensili di 20 miliardi (dai 60 attuali a 40) provocherebbe un aumento dell'1% dei rendimenti dei bond tricolori. Con un aggravio sui nostri conti di cinque miliardi, tale da bruciare lo sconto sulla manovra ottenuto da Bruxelles. Prepariamoci.

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