Imprenditori distratti da clima e Usa. Ma il vero nemico è il super euro

I rapporti di cambio rischiano di minare export e ripresa anche se la Bce non rottama il bazooka. Perchè la Fed non alzerà i tassi

Imprenditori distratti da clima e Usa. Ma il vero nemico è il super euro

C'è qualcosa che non torna nei risultati del sondaggio condotto tra gli imprenditori in quel di Cernobbio. Passi per Trump in cima alla lista delle preoccupazioni, un esercizio di politicamente corretto molto dem; e passi pure per il babau della Brexit, un altro evergreen del luogo comune da tirar fuori alla bisogna. Ma poi scopri perfino insospettate venature ecologiste, quando più che i cambiamenti climatici a far paura dovrebbero essere quelli valutari. Possibile che proprio nessuno abbia già sentito scricchiolare le esportazioni sotto il peso di un euro ipertrofico, che è come uno zucchero venefico messo nel serbatoio di quella ripresa di cui si tanto si parla in riva al lago? Eppure, il segnale di allarme è arrivato forte dalla Bce, costretta ad ammettere - seppur al di fuori dei canali ufficiali - che di ritirare le misure straordinarie di stimolo monetario non se ne parla proprio. Il quantitative easing starà in piedi fino ad almeno a dicembre. Forse anche dopo. E guai a chi prova a toccarlo, con buona pace degli affondo di matrice tedesca sempre più pressanti con l'avvicinarsi delle elezioni. L'ultimo è arrivato sotto forma di un subdolo stress test condotto dalla Bundesbank anche sulle piccole banche, quelle che sfuggono alla lente dell'Eurotower. Ne sono uscite con le ossa rotte. Il motivo? La bassa redditività a causa dell'azzeramento dei tassi. Insomma, tutta colpa di Mario Draghi.

Dunque, seppur sia probabile che l'ex governatore di Bankitalia resista anche nei prossimi mesi all'interno del fortino del Qe, davvero i nostri uomini di industria pensano che basterà la pezza messa da Draghi per rigonfiare il materassino dell'export? Senza per forza dover parlare di guerra valutaria in atto, il problema è che dall'altra parte dell'oceano la Federal Reserve remerà in una direzione tale da far indebolire il dollaro. Gli appena 156mila posti di lavoro creati in agosto, rispetto ad attese per 180mila, suonano come un requiem alle possibilità di alzare i tassi per la terza volta quest'anno. Tanto più che gli effetti dell'uragano Harvey si faranno sentire solo alla fine di questo mese sotto forma di 50-100mila posti spazzati via; inoltre, cominciano a scarseggiare le assunzioni di camerieri e baristi (appena 9mila il mese scorso), quelle che avevano garantito il miracolo occupazionale di Obama. Se poi ci si mette anche la cronica anemia dell'inflazione (male di cui soffre anche l'eurozona), la situazione non è delle migliori, al punto che le chance di una stretta in dicembre sono crollate ieri al 36% dal 42% del giorno prima, mentre Wall Street alzava i calici tornando sopra quota 22mila.

Per la finanza dei buy back miliardari, garantiti da un costo del denaro in saldo, la conferma che la Fed terrà il piede lontano dal pedale dell'acceleratore dei tassi è più che una buona notizia.

Lo è meno il fatto che Bce e Fed siano costrette a mantenere lo status quo monetario perché altrimenti il banco rischia di saltare con il suo carico di migliaia di miliardi di debiti. Più che la Casa Bianca, converrà tenere un occhio vigile su Draghi e la Yellen.

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