Indagati il presidente e l'«ad» della Volkswagen in Italia

Indagine su 6 manager per frode in commercio Perquisizioni a Verona e alla Lamborghini

Perquisizioni e avvisi di garanzia. La magistratura mette il naso nel Dieselgate targato Volkswagen e lo scandalo automobilistico diventa una trama giudiziaria con un'ipotesi formulata dalla procura di Verona: frode in commercio. Era in sostanza quel che chiedeva con un esposto il Codacons, come sempre rapidissimo nel mobilitarsi sul fronte giudiziario, e ora la partita è cominciata. Nel mirino dei pm il direttore e amministratore delegato di Volkswagen Italia Massimo Nordio, il presidente Luca De Meo, altri quattro dirigenti. Le Fiamme gialle sono andate al quartier generale della sede italiana del gruppo, alla periferia di Verona, e poi a Sant'Agata Bolognese dove c'è la Lamborghini, ormai provincia, sia pure di lusso, dell'impero di Wolfsburg.

Difficile immaginare il seguito, ma pare obiettivamente complicato poter dimostrare che qualcuno dei dirigenti italiani di Volkswagen fosse a conoscenza delle emissioni truccate e avesse avallato la manomissione delle centraline elettroniche montate sui motori Ea 189. A Verona non si produce nulla, gli uffici della città veneta sono l'avamposto e la vetrina del colosso tedesco, la sua proiezione commerciale e finanziaria nella penisola, il punto di riferimento, con il magazzino, per i pezzi di ricambio. Il grande inganno è made in Germany e solo improbabili documenti, mail, lettere o conversazioni intercettate potrebbero portare la prova di un possibile coinvolgimento dello staff tricolore nella megatruffa.

Però tutto serve per monetizzare il danno e così il Codacons può legittimamente «esultare». È già partita, con tempismo mediatico perfetto, una class action al tribunale di Venezia e il presidente dell'associazione Carlo Rienzi parla di 12 mila preadesioni. La scoperta di illeciti rafforzerebbe naturalmente la “guerra“ di popolo lanciata contro Wolfsburg. «La nostra ipotesi - si legge in un comunicato - era proprio quella di una possibile frode in commercio a danno dei consumatori».

Lo stesso ragionamento affiora nel decreto di perquisizione disposto dal pm Marco Zenatelli: il magistrato parla di commercializzazione di auto «aventi caratteristiche diverse, in senso negativo, rispetto a quelle dichiarate». E aggiunge che la frode è andata avanti fino al 30 settembre 2015, coinvolgendo un ventaglio di marchi prestigiosi: Volkswagen, Audi, Skoda, Volkswagen veicoli commerciali.

Sullo sfondo si profila un assedio onerosissimo a Wolfsburg. Solo in Europa saranno richiamate 8,5 milioni di auto, di cui 2,4 in Germania e 645mila in Italia. Numeri altissimi, un popolo intero tradito da chi si presentava con le credenziali di un'assoluta affidabilità. Qualcuno, in Germania, dovrà pagare. Le perquisizioni di Verona servono, in prospettiva, anche per questo.

Ma il nuovo amministratore delegato del gigante ferito, Matthias Müller, prova ad anticipare la valanga: «Anche noi - scrive in una lettera inviata al ministro Graziano Delrio - vogliamo sapere come sia potuto accadere e vogliamo individuare i responsabili».

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