È tra mille polemiche che il nuovo codice antimafia arriva in Senato, dopo l'approvazione alla Camera. Critiche durissime del presidente dell'Autorità dell'Anticorruzione Raffaele Cantone, che ritiene la riforma «inutile e dannosa» e non sufficienti i «rimedi» suggeriti dal procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, cui replica piccato il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Critiche di illustri penalisti come Giovanni Fiandaca e Vittorio Manes, di costituzionalisti del calibro di Sabino Cassese, di magistrati impegnati contro Cosa nostra come Maurizio De Lucia, che in questi giorni passa dalla Dna alla guida della procura di Messina, anche del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che parla di una «deriva più di consenso che di pragmatismo», insomma del tentativo di «accontentare chi urla di più».
Il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda aveva annunciato che oggi sarebbero state approvate le norme antimafia, poi destinate ad una terza lettura. Dem e grillini fanno a gara per presentarsi come paladini della lotta alla corruzione, ma ieri il M5s si è messo di traverso. «Per noi il codice antimafia è un codice scritto male, è uno scandalo - attacca Roberto Fico - non va approvato ma va invece combattuto in tutti i modi e stiamo facendo la nostra parte per bloccarlo in commissione».
Il giorno prima era stato Gaetano Quagliariello, leader centrista di Idea in Senato, a chiedere alla maggioranza di appoggiare il ritorno in commissione del provvedimento, dopo i rilievi degli esperti (che non erano stati convocati preliminarmente, vedi Cantone). Queste norme, dice, «rischiano allo stesso tempo di produrre uno sbrego costituzionale sul versante del garantismo e di indebolire anziché rafforzare gli strumenti investigativi e repressivi nei confronti della criminalità organizzata». Per Carlo Giovanardi è stato un adattamento ad «ideologie e metodi dei peggiori sistemi totalitari». Sulle garanzie insiste da giorni l'Unione delle camere penali: attacca l'«arroganza» di una «politica addirittura fiera del suo populismo penale», dice che nel nuovo codice si segue una linea contraria a recenti indirizzi della Corte Costituzionale e dellaCassazione.
La novità e il punto più controverso riguarda l'estensione di confische e sequestri di patrimoni agli imputati di reati contro la Pubblica amministrazione, dalla corruzione al peculato. Per Roberti, si può fare, prima di una condanna definitiva, a patto di condizionare i provvedimenti a forti indizi di pericolosità legati alla partecipazione ad associazione per delinquere. Cantone non è d'accordo e avverte che si rischia la bocciatura della Consulta. De Lucia, che fino a metà mese è proprio nell'ufficio di Roberti, dice che il codice antimafia ce lo «invidiano» e «copiano» tutti e cambiarlo può rompere un equilibrio che funziona bene, creando conflitto con principi costituzionali e obblighi delle corti internazionali. Per dirla con Boccia, la modifica può provocare «un cortocircuito».
Roberti sembra molto seccato.
«Assolutamente non voglio entrare in queste polemiche», risponde alla richiesta di intervista. Sabato, all'università di Palermo, incontrerà Cantone alla chiusura del corso per amministratori giudiziari, organizzato con l'Anac e la Dna. Forse per allora in parlamento sarà cambiata qualcosa sul codice antimafia.
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